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Commedia dell'Arte: Le Maschere

Ultimo Aggiornamento: 30/01/2021 18:07
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25/01/2012 13:00


Continua l’escursione all’interno della Comedia dell’arte; i nostri occhi quest’oggi si poseranno su altre affascinanti maschere. Partiamo da TARTAGLIA e STENTERELLO, proseguendo con TABARINO e BRIGHELLA, finiremo con l’incontrare MENEGHINO, GIANDUIA e PANTALONE. Buona lettura a tutti.




TARTAGLIA


La più comica delle maschere italiane trae, poco pietosamente, le ragioni della propria popolarità da due penosi difetti: l’incapacità di avviare un discorso senza balbettare, e una eccezionale miopia. Basta dunque dare la parola a Tartaglia, oppure sottrargli le lenti per destare un gioco d’equivoci tale da assicurare per un paio d’ore l’entusiasmo di una platea. Miopia e balbuzie, per coronare la comicità del personaggio, si accompagnano, nel fisico, a una pronunciata pinguedine, e nel carattere a una vera e propria vocazione all’insuccesso. Ministro del regno di Serendippe, nella favola « 11 Re Cervo » di Carlo Gozzi, Tartaglia otterrà dal mago Durandarto la formula per trasferire le anime dai morti ai vivi, sicché, innamorato della regina, approfitterà di una battuta di caccia per trasferire il re in un cervo abbattuto, e assumere a sua volta le auguste sembianze; però, com’era prevedibile, Tartaglia non soltanto non riuscirà ad ottenere, così trasformato, i favori della regina, ma, trasferitosi imprudentemente nelle sembianze di una cagnetta, finirà strangolato. L’infelice sorte del personaggio sarà più di una volta condivisa dai suoi interpreti: un Tartaglia che recitava alla corte di Spagna finì rinchiuso, e per non breve tempo, in quello stesso carcere nel quale aveva languito, negli anni della sfortuna, Cristoforo Colombo: la maschera si era permessa, nel corso di uno spettacolo. di bersagliare con poco riverenti giochi di parole il famoso conquistatore Cortes. A Bologna la figura di Tartaglia si specializzerà invece nel compito di far ridere alle spalle della legge, sicché sovente gli sarà affidata la parte del Commissario o, semplicemente, del birro, Le poche volte in cui gli sarà risparmiato l’ingombro della pinguedine, diverrà addirittura un personaggio al lampanato, col naso puntuto e prominente, ineguagliabile di jelia e malocchio.

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Tina



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25/01/2012 13:02




STENTERELLO


Un doloroso sacrificio era prescritto ai giovani attori destinati, per attitudini e per figura, a sostenere la parte di Stenterello: occorreva che si strappassero gli incisivi superiori sicché ne risultasse, per quel buco nero, una deformazione della pronuncia che, nella parlata toscana arguta e spiccia. acquista una particolare comicità. Stenterello è infatti, come Meneghino e Gianduja, maschere con le quali ha numerosi lineamenti comuni, un personaggio che deve essere interpretato da attori caratteristici: la sua figura ha una fisionomia così spiccata e precisa che può essere inserita in un dramma o addirittura in una tragedia indipendentemente dall’economia dell’intreccio, per arric – chirne la vicenda, coi suoi lazzi e le sue battute, di una nota di letizia. Sostengono gli storici del teatro che Stcnterello, ai tempi d’oro di Firenze, abitava nei palazzi, era nel fior dell’età e nel meglio del suo spirito e poteva chiamarsi Machiavelli, Boccaccio o l’Aretino. La maschera delineatasi poi è il nipote, decaduto, di quei grandi spiriti, dei quali ha più che altro ereditato i vizi e le inevitabili meschinità, donde quel nome che evidentemente deriva dal verbo stentare, cioè non essere soddisfatti del proprio stato. Stenterello conserva tuttavia una signorilità che lo distingue da tutte le altre maschere italiane: le sue battute, per quanto mordaci, non cadono mai nell’indecenza e sono il frutto, piuttosto che malizia, di una saporosa ingenuità. Disordinato e discontinuo, come del resto confermano le sue calze, di foggia e colori diversi, Stenterello ha un debole per le donne, ma non essendo abbastanza paziente per far loro la corte, si mette spesso in situazioni da schiaffi. Ma ancor più forte è la sua attrazione per la buona cucina: disposto a commettere qualsiasi bassezza per una buona cena, se ne astiene soltanto perchè hanno il sopravvento in lui la paura e la pigrizia.

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25/01/2012 13:07




TABARINO


Quel mantello scuro, il tabarro, che gli emiliani di modesta condizione portano ancor oggi d’inverno in luogo del cappotto con le maniche, ha finito col prestare il proprio nome a locali eleganti di tutto il mondo, i cosiddetti tabarins, per virtù di un tipo di mercante bolognese, affatto colto, che nel ‘500 figurava sovente sulle scene con una curiosa caratteristica: cominciava le frasi in italiano, ma era costretto, per farsi intendere, a terminarle in dialetto. Quel tipo di mercante, chiamato Tabarino per via del mantello a ruota piuttosto corto, fu portato per la prima volta sui palcoscenici di Francia nel 1570 da una compagnia di comici italiani che gli affidarono le parti più disparate: domestico, padre, marito, secondo le necessità dell’intreccio. Il nome di Tabarino fu ripreso più tardi da un milanese, la cui vera identità resta tuttora imprecisata, che arrivato a Parigi nel 1618 si associò con un ciarlatano di nome Mondor e con lui cominciò a dar spettacoli all’aria aperta, preceduti da sfilate con trombe e tamburi per richiamare pubblico. Mondor, massiccio e con la voce roboante, sosteneva la parte del Capitano, Tabarino quella del fedele domestico, e la coppia ottenne un tale successo che quattro anni dopo, nel 1622, la Piazza Dauphine, dove essi solevano tenere i loro spettacoli, non bastava ormai più a contenere il pub. buco, e di Tabarino si parlava nei salotti eleganti come di un infallibile elisir contro ogni tristezza. I loro dialoghi, sapidi e audaci, che più tardi Tabarino raccolse in un vo lume intitolato Giardino, raccolta dei segreti, giochi, fa cezie e passatempi », ispirarono quegli spettacoli brevi e variati coi quali si allieta, fra i calici e le danze, la spensierata clientela dei locali notturni, che da allora presero appunto il nome di tabarins. In uno di quei locali morì, si dice per pugnalate, l’impareggiabile anonimo comico milanese.

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25/01/2012 13:10




BRIGHELLA


Lineamenti del carattere di Brighella, che si troveranno più tardi anche in Scapino, Beltrame, Truccagnino, Fenocchio. Sganarello e Frontino, cioè in tutte le figure di valletto furbo intrigante della commedia italiana e di quella francese, già si trovano in alcuni personaggi dell’antico teatro classico, come lo schiavo greco Pseudolo, o l’Epidico di Plauto: parlar mielato, maniere insinuanti, un garbo ingannatore per spillar danaro agli stolti e favori alle donne. Brighella, almeno in un primo tempo, non esita a soddisfare le sue brame, comportandosi come un bandito da strada si può esser sicuri, se l’intreccio prevede un fatto di sangue, che l’esecutore non potrà essere che Brighella. Più tardi andrà però sostituendo al coltello le armi della malizia e della destrezza, pur conservando la truce maschera, olivastra e barbuta, indice dell’abitudine al delitto, Cantante, ballerino, musico, soldato, avvocato, birro, Brighella sa insinuarsi dappertutto e conquistare quella fiducia che gli è indispensabile per colpire al sicuro. E’ dunque un domestico ideale per chi sia in grado di pagarlo generosa mente, ma abbia anche sufficiente accortezza per non restarne a sua volta imbrogliato perciò accade sovente che Brighella figuri in coppia con Arlecchino, bergamasco anch’egli, ma ingenuo e credulone, destando a gara nel pubblico il brivido e l’ilarità. Il primitivo Brighella, si trattasse di danaro o di donne, non si lasciava sfuggire un colpo; emendatasi nel tempo, la maschera andrà acquistando agli occhi del prossimo quella vena di ridicolo che è rimasta poi, accresciuta, nella figura del « figaro tutto fare », ultima anche se poco riconoscibile personificazione dello stesso carattere. Uno dei più celebri interpreti di Brighella, Atanasio Zanoni da Ferrara, uscendo una notte a Venezia da un banchetto, finì in un canale; ripescato, morì pochi istanti dopo per asfissia.

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25/01/2012 13:13




MENEGO E MENEGHINO


Già ai primi deI ‘500 si incontra a Padova nel teatro del Ruzante (1502-1542) il personaggio di Domenico, detto familiarmente Menego, tipo di contadino ingenuo e poltrone. La sua figura, soprattutto col diminutivo di Meneghino, andrà col tempo evolvendosi, fino ad assomigliare a quella del toscano Stenterello: lo stesso incontro d’ingenuità e d’astuzia, la stessa inclinazione agli amori facili e alla buona mensa, una analoga popolarità presso i rispettivi pubblici. Meneghino, come Stenterello e come il piemontese Gianduja, è uno di quei ruoli che, per la loro incisività e personalità, vengono affidati ad attori caratteristi; per quella stessa ragione, lasciando in ombra ogni altra maschera, Milano ha finito col riconoscersi in Meneghino. come Firenze in Stenterello e Torino in Gianduja. Di Menego e Meneghino, contadini scesi in città per fare il domestico, si raccontano episodi in cui la loro ingenuità supera di gran lunga quella del famoso Pierrot. Un giorno, vedendo passare per via un pittore che portava sulle spalle due ritratti, Meneghino rincasò ansante, senza aver fatto la commissione che gli era stata affidata. « Oggi non esco più — dice al padrone. — Ho incontrato in istrada un uomo con tre teste, e non mi sembra naturale. Porta sfortuna ». Un’altra volta Meneghino, mentre sta accendendo con acciarino ed esca un candeliere, si scotta un dito con la scintilla: tanto è il bruciore, che lascia cadere tutto e resta al buio. Allora cerca a tastoni la candela, va ad accenderla da un vicino di casa, e poi rientra per cercare l’accendino. « Sapevo che li avrei trovati » esclama soddisfatto, e subito se ne serve per accendere la candela già accesa. Una sola volta Meneghino passa dall’ingenuità all’astuzia. Pantalone, il suo signore, gli vede cucito all’orecchio un bottone e gliene chiede ragione con male parole. Il servo, pronto, risponde: « Devo aver sentito qualcosa di sporco ».

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25/01/2012 13:18





GIANDUJA


Questa maschera, prediletta dai piemontesi, deve il nome a una precauzione politica: fino al 1802, infatti, l’avevano chiamata Gerolamo, ma quell’anno, ai primi del nuovo secolo, i comici pensarono bene di ribattezzarlo per evitare che si potesse scorgere allusione al nome di Gerolamo Bonaparte, parente dell’imperatore. Fu per questa ragione che i proprietari del teatrino milanese « Gerolamo », dove tuttora si tengono gli spettacoli di marionette, preferirono sospendere le rappresentazioni ed emigrare altrove. Gianduja cioè Gerolamo, è originario di Caglianetto, in quel di Asti. Proverbiale è fra i contadini piemontesi la sua distrazione: un giorno il padrone lo portò con sé a una fiera, dove acquistò sette somari. « Conducili a casa » disse a Gianduja, e il servo, montato su una delle bestie, incominciò il cammino: però, strada facendo, volle per scrupolo fare un controllo e, sempre restando in sella, contò gli animali. Erano sei. Gianduja, disperato, partì alla ricerca del settimo somaro, e tanto galoppò che la sua povera cavalcatura, stremata dallo sforzo, stramazzò a terra e rotolò nella polvere il suo incauto cavaliere. Gianduja, quando si riebbe, vide sdraiato accanto a sé l’asino. « Ecco il settimo — esclamò. Ma dove ti eri cacciato? » Più tardi la distrazione e l’ingenuità’ si combineranno con una sempre più accentuata malizia e con una nota di surreale; Gianduja, inserito nello spettacolo come caratterista, finisce con l’improntare di sé la vicenda al punto che il pubblico non vede che lui. Nessuno in platea si commuove quando il principe si è perduto per amore in una foresta azzurra, ma l’ilarità non ha freno quando Gianduja, sentendo gli stimoli dell’appetito, gli chiede il permesso di fare un salto in rosticceria. « Siamo perduti » gli ricorda il principe con voce di mesto rimprovero. « Scusi tanto, credevo di essere a Cuneo ».

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25/01/2012 13:21




PANTALONE


Assai discussi sono l’origine e il nome di questa maschera veneziana, rimasta famosa anche per aver battezzato il più tipico indumento maschile: secondo taluni si tratterebbe, nientemeno, che di una caratterizzazione popolare del più antico protettore della città, San Pantaleone altri la deriverebbero invece dallo scherzoso appellativo di piantaleone, col quale venivano beffati nei porti del Mediterraneo i mercanti veneziani, inesauribili nel collocare in ogni luogo il leone di S. Marco, simbolo della loro Repubblica. Benché taluni lineamenti di questa maschera già si ritrovino nelle figure di libertini creduli, beffeggiati e eternamente malcontenti dell’antico teatro classico, e numerose analogie già si riscontrino nella figura del bolognese dottor Ballanzone e in alcuni personaggi di Molière quali Gorgibus, Arpagone e Sganarello, si può senz’altro dire che Pantalone è, nelle virtù e nei difetti, la maschera nazionale della Serenissima, prova sia che il costume mutò numerosissime volte nel tempo, ma rimase intatta la zimarra nera adottata in segno di lutto quando Venezia dovette cedere ai turchi il Negro-ponte (Eubea). Pantalone è sempre d’età avanzata, talora scapolo con tutto il ridicolo di chi, ormai maturo, vuol piacere ancora: talora padre di due ragazze, Isabella e Rosaura, oppure Camilla e Smeraldina, assai difficili da tenere a freno. Raramente povero, egli ha tuttavia figurato nei più diversi gradi della fortuna, dall’arricchito burbanzoso e sputasentenze al borghese di modeste sostanze che tuttavia non rinunzia a figurare più di quello che è. Avaro e diffidente — non a caso fu battezzato col cognome dei Bisoqnosi, – perde però ogni cautela quando gli si offre il caso di far sfoggio della sua autorevolezza, intromettendosi in dispute e alterchi, e, puntualmente, finisce col ricevere busse da entrambi i contendenti.

Fonte

Tina

Comedia dell’arte – riprodotto con testi di Sam Carcano dalla Collana Artistica dei Laboratori Farmaceutici Maestretti di Milano negli anni 1954-1955 . Le incisioni di Maurice Sand sono tratte da un’edizione francese del 1859. Le tavole e la descrizione qui riprodotta sono tratte da un edizione dei LABORATORI FARMACEUTICI MAESTRETTI di Milano



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02/02/2013 18:36


Con oggi finiamo la nostra magica avventura nel Paese della Comedia dell’Arte. Conosceremo il dolce PAGLIACCIO e il non di meno dolce, ma alle volte anche triste PIERROT. Inoltreremo la nostra conoscenza alla GIOVANE AMOROSA, a SILVIA (sua gemella) e al GIOVANE AMOROSO. Concluderemo questa nostra sfilata di Carnevale con le maschere di SCARAMOUCHE e il DOTTOR BALANZONE.

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02/02/2013 18:38




IL PAGLIACCIO


La maschera del Pagliaccio, affermatasi soprattutto in Francia con Pierrot, o in Inghilterra con i clown da circo, è nata dalla fantasia di un cantastorie emiliano del ‘500, Giulio Cesare Croce, che compendiò le sue pubbliche narrazioni in un libro intitolato «Vita di Bertoldo e di suo figlio Bertoldino» cui, dopo la morte del Croce (1609), Camillo Scaligero aggiunse in appendice una «Vita di Cacasenno», figlio di Bertoldino. Padre, figlio e nipote immaginari diventarono in quegli stessi anni personaggi di teatro fondendosi per fantasia degli attori — che a quei tempi recitavano a soggetto, anziché imparando le battute a memoria — in un’unica figura, Bertoldino, ingenua eppur sentenziosa, maliziosa e balorda, che la compagnia di Juan Ganassa presentò poi in Francia, per la prima volta, col nome di Pagliaccio, probabilmente derivato da bajaccio, cioè dicitore di burle (baje). In Francia, a sua volta, Pagliaccio si confuse con un personaggio locale, detto Gros-Guillaume, fornaio e perciò cosparso di farina, e si specializzò nelle parti di valletto, in concorrenza con Arlecchino, assumendo talvolta anche i nomi di Piero, Pierro e Pedrolino. Molière, notato il successo degli italiani, ne derivò il personaggio di Pierrot che, come Pedrolino era stata la personificazione del contadino italiano, finì col diventare quella del contadino francese. Da allora andò gradualmente verificandosi una totale trasformazione del Pagliaccio: eliminata ogni grossolanità, affinato il costume, il comico francese Jean-Baptist Debu reau, uno dei maggiori della prima metà dell’ 800, arriverà a completare la figura del Pierrot moderno infondendole sangue freddo, indifferenza, sensibilità morbosa e un fondo di inguaribile malinconia, motivi che bastano a spiegare perché Pierrot sia una delle poche maschere ancora attuali, non costretta, ormai, a trovar rifugio negli spettacoli di marionette.

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02/02/2013 18:40




PIERROT


Dall’antico carattere del Pagliaccio, frequente nelle recite a soggetto che i comici italiani, abilissimi improvvisatori, importarono in Francia, nacque nel teatro parigino dei Funamboli, ai primi dell’ 800, il tipo del moderno Pierrot, Ai Funamboli si erano dati in un primo tempo spettacoli di cani ammaestrati e di danza sul filo, intercalati da qualche pantomima: fu verso il 1830 che, soprattutto per merito dell’abilissimo comico Deburau, il teatro si specializzò nella rappresentazione di pantomime e vaudevilles, al centro delle quali figurava il pagliaccio, talvolta buono e perfino gene roso più per insofferenza che per indole, altra volta ladro, bugiardo e perfino avaro, vile eppur temerario, poverissimo, arricchito e dilapidatore di fortune, incorreggibile nella pigrizia e nella ghiottoneria. L’eccezionale abilità del Deburau finì addirittura con lo stravolgere l’antico carattere del Pagliaccio che, per due secoli, si era pur andato adeguando all’indole e al gusto dei francesi; la petulanza ha ceduto posto al sangue freddo, non è più il fantoccio che si agita senza ragione, ma lo storico moderno che cede alle impressioni del momento, un personaggio senza passione, senza parole e quasi senza volto, che esprime tutto, pur infischiandosi di tutto, La parte del Deburau fu continuata, dopo la sua morte, dal figlio, uno dei più squisiti ed eleganti Pierrot che la storia del teatro ricordi. Con lui il personaggio che aveva commosso il cuore dei parigini entrò nella moda, interessò poeti, scrittori, drammaturghi, musicisti, divenne la maschera preferita di un secolo di carnevali, e andò fissandosi nelle arti e nel costume proprio negli anni in cui tutte le altre maschere del vecchio repertorio incontravano un inevitabile tramonto ritirandosi, nella migliore delle ipotesi, nel teatro delle marionette.

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02/02/2013 18:42




LA GIOVANE AMOROSA


Il motivo centrale di un dramma, una tragedia, una farsa, è tradizionalmente una vicenda d’amore, al punto che nel teatro delle maschere i due protagonisti, il giovane amoroso e la giovane amorosa, appaiono del tutto caratterizzati dal loro sentimento e a null’altro impegnati che a realizzare. scavalcando ogni ostacolo, il sogno della loro esistenza; gli altri personaggi, parenti e domestici, sono soltanto ingranaggi del loro gioco d’amore, e se alla fine si sposeranno anche loro, sarà quasi per meglio coronare, con nozze collettive, la felicità raggiunta della coppia maggiore, Così si spiega perché il ruolo della giovane amorosa sia, più che una maschera, un carattere: Fiorinetta, Isabella, Aurelia, Silvia. Camilla, Flaminia, non potevano essere che ragazze vestite alla moda, e dotate in maniera da rappresentare l’ideale femminile del loro tempo. Il primo tipo di giovane amorosa fu Fiore, detta anche Fiorinetta, ingenua, virtuosa, un poco campagnola; quando la madre, constatando le sue attrattive, si proporrà di avviarla alla prostituzione. Fiore finirà con l’innamorarsi e sposare Flavio, il suo primo e unico « cliente ». Col passar degli anni, però, il personaggio andrà acquistando maggior vivacità e compiutezza, e ne sarà interprete insuperata Isabella, un’attrice che esordì sedicenne a Padova nel 1578 e andò poi sposa al celebre attore Francesco Andreini, specializzato a interpretare la parte del Capitano, e dal quale ebbe un figlio, Giovanni Battista, fiero come il padre e bello come la madre, che fu ricercatissimo nella parte di Lelio, il giovane amoroso.Dopo Isabella la figura della giovane amorosa andò acquistando maggior malizia e civetteria. L’amorosa divenne esperta di poesia e di musica, ambita ospite di sovrani e notabili. Ormai, più che all’ingenua Fiore, assomigliava per arguzia e iniziativa alla domestica Colombina.

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02/02/2013 18:45




SILVIA


Più che una maschera, la giovane amorosa che ha assunto volta a volta i nomi di Isabella, Camilla, Aurelia, Flaminia, può dirsi un carattere che si è andato via via adeguando alla moda e agli ideali femminili del tempo, sicché le attrici che l’interpretarono, anziché adeguarsi all’imitazione di un tipo, hanno potuto dare sfogo al loro estro e alla loro inventiva. anticipando quell’originalità di personaggi e di interpretazioni che è alla base del teatro moderno. In origine, coi nomi di Fiore o Fiorinetta, la giovane amo rosa era un tipo d’ingenua che trionfava delle avversità e delle malizie appunto in forza del proprio candore; una maggior compiutezza, che non mancò di lasciar tracce nel l’avvenire del personaggio, si ebbe con Silvia, nome d’arte dell’attrice Rosa Zanetta Besozzi, giunta a Parigi con la sua compagnia nel 1716, e che fu interprete Insuperata del teatro di Marivaux. La Besozzi, che recitò ininterrottamente per quarantadue anni, senza mai disgiungere ai richiami del talento quelli della grazia femminile, riuscì a rendere più acceso e immediato il suo personaggio, non mancando di esporlo, pur con grazia e misura, a qualche situazione piccante. come ad esempio nella commedia « L’amante romanzesco », dove Silvia, maritata ma trascurata dallo sposo, abbraccia in uno slancio d’entusiasmo la domestica Marinette, che parla degli uomini con disinteresse e disgusto. e non esita a confessarle che se lei fosse un uomo, la sceglierebbe come sposo o quello stesso istante. Marinette si inginocchia e con fessa, tra le la – crime, d’essere Mario, un suo innamorato, travestito da donna per poterle restare sempre vicino. Elogi a Silvia, come alla donna ideale, sono frequenti nella letteratura francese del ‘700 a suo nome restano madrigali. sonetti, acrostici e dediche in prosa e in rima.

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IL GIOVANE AMOROSO


Prestanza fisica, bell’aspetto, voce gradevole, eleganza e maniere di buona società, erano i requisiti indispensabili per recitare la parte del giovane amoroso, che assumeva volta a volta i nomi di Flavio, Orazio, Cinthio, Ottavio, Leandro. Il personaggio, anche quando l’autore accompagnava alla serietà dei sentimenti una vena di comicità, non poteva vestire che alla moda del suo tempo; così si spiega perchè il giovane amoroso, più che una maschera, sia diventato un carattere, trasmesso poi anche al teatro moderno. Le sue doti dovevano essere quelle dell’uomo interessante della sua epoca: oltre alle doti di natura, gli era necessario dar prova di gusto musicale, aver nozione di lettere e di bel mondo, saper improvvisare sonetti e madrigali, anche se, nella maggior parte dei casi ,all’aristocrazia delle qualità non corrispondeva una adeguata solidità di fortuna. Col nome di Flavio si distinse in Francia, nella parte del giovane amoroso, l’italiano Flaminio Scala, già comico del duca di Mantova; egli dedicherà gli ultimi anni della sua vita a trascrivere in volume le vicende degli spettacoli interpretati in gioventù, giovandosi anche dei manoscritti lasciati da Isabella Andreini, sua compagna di successo. Un figlio dell’Andreini, Giovanni Battista, nato a Firenze nel 1579, tornerà col nome di Lelio alla parte del giovane amoroso che sarà poco dopo coperta, col nome di Orazio, anche dal comico italiano Marco Romagnesi, considerato uno dei più affascinanti uomini del suo tempo. Si ricorda in proposito che Orazio, adeguandosi al decreto di Luigi XIII che proibiva ai suoi ufficiali di portare lunghe barbe, riuscì, tanto era popolare, a rendere ambita l’adozione del pizzetto. Da allora però, in particolar modo col tipo di Leandro, la figura del giovane amoroso andrà acquistando una vena di comicità.

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Nevin
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02/02/2013 18:54




SCARAMOUCHE


Notevole popolarità ebbe in tutta Europa nel ‘500 e ai primi del ‘600 il carattere del Capitano, erede nelle parole, se non nelle gesta, di quella tradizione di eroismo individuale che era eccelsa nelle figure dei paladini, dei crociati e dei condottieri di ventura, e che l’adozione delle armi da fuoco aveva ormai relegato nella fantasia popolare, deformandole con l’iperbole e l’ironia. Da un personaggio napoletano chiamato Scaramuccia, cioè piccola battaglia, pauroso e millantatore, l’ultimo e il più comico della serie dei Capitani, i comici italiani avvicendatisi alla corte di Francia derivarono la figura di Scaramouche, sedicente signore di contrade mai esistite sulla carta geografica, nobile non meno di Carlo Magno e ricco almeno quanto un suo bisavolo di nome Creso, ladro, poltrone, furfante, amico e rivale di Pulcinella in una gara di frottole e di ribalderie. Il primo Scaramouche fu il napoletano Tiberio Fiurelli, figlio di un capitano di cavalleria, uno dei mimi più spiritosi e completi che la storia del teatro ricordi. La sua abilità nel mimare fu messa a profitto a Corte un giorno in cui la regina era infastidita dai continui lagni del principino, che aveva allora due anni. Il Fiurelli ottenne un tale successo che il Delfino, in uno scoppio di ilarità, gli bagnò il costume. Alcuni anni più tardi, diventato Re Sole (Luigi XIV egli pregherà Scaramouche di mimargli quel loro primo incontro e ne trarrà uno spasso tale da assicurare all’attore il perpetuo favore della Corte. Tipica di Scaramouche era l’estrema agilità. Il Fiurelli arriverà all’età di 83 anni conservando una scioltezza tale da essere in grado di schiaffeggiare una persona con un piede.

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Tina

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Dottor BALANZONE


Avvocato bolognese, fa della parola la sua arte, espone le sue idee e i suoi consigli, ricorrendo a un diluvio di parole, piene di sentenze latine, di proverbi sgangherati nella grammatica e nella sintassi, ma pomposi, imponenti, tali da far restare a bocca aperta. Procede imperterrito nei suoi discorsi senza spaventarsi delle colossali baggianate che dice. Veste pantaloni e camicia nera, guarnita di un colletto bianco. In testa ha un feltro a larghe tese, nero. Alla cintura un pugnale o un fazzoletto, e sottobraccio un librone.

Comedia dell’arte – riprodotto con testi di Sam Carcano dalla Collana Artistica dei Laboratori Farmaceutici Maestretti di Milano negli anni 1954-1955 . Le incisioni di Maurice Sand sono tratte da un’edizione francese del 1859. Le tavole e la descrizione qui riprodotta sono tratte da un edizione dei LABORATORI FARMACEUTICI MAESTRETTI di Milano

Fonte

Tina

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