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I nosti fratelli anima-li




Siamo abituati a dare per scontato una nostra estraneità a quella che è la dimensione animale. Espressioni dispregiative, dello stile "non comportarti come un animale", "non dire bestialità", mettono in evidenza un sottinteso senso di superiorità, rispetto a esseri che popolano il pianeta sicuramente da più tempo di noi e che hanno linguaggi diversi dal nostro e non possono ribattere a tutto quanto noi ci permettiamo di dire di loro.
La superiorità dell'uomo rispetto all'animale è innegabile per quanto riguarda lo sviluppo della corteccia cerebrale. Questo si traduce nella capacità di aver sviluppato un linguaggio complesso e articolato, una migliore coordinazione tra mente e corpo, una maggiore velocità di apprendimento, una grande flessibilità per quanto riguarda l'adattamento, e una sempre maggior indipendenza da schemi di comportamento istintuali, quindi una maggior libertà. Ma le dimensioni della corteccia cerebrale non sono sufficienti per determinare una scala gerarchica che rende un essere più o meno valido o importante di un altro. Sarebbe come voler definire una scala di valori, all'interno dell'umanità, basata sulla lunghezza dei capelli, piuttosto che sulle dimensioni dei bicipiti.
Questa così radicata convinzione della nostra superiorità, oltre ad essere il risultato di una evidente imposizione della legge del più forte, è data in fondo soltanto da criteri che riguardano la dimensione mentale. Per quanto riguarda la dimensione fisica non siamo né i più grandi, né i più forti, né i più veloci, né i più belli; per quanto riguarda la dimensione affettiva non siamo né i più fedeli, né i più affezionati, né i più premurosi; e per quanto riguarda la dimensione spirituale è meglio tacere rispettosamente, perché conosciamo già così poco della nostra, che è meglio non disquisire sulla capacità di un animale di concepire altre dimensioni. Vale comunque la pena di mettere in evidenza che alcuni principi che possono essere definiti etici, sono più inviolabili presso alcune specie animali che presso quella umana, come il lupo in lotta con un suo simile, che si arresta non appena l'avversario gli offre la gola in segno di resa.
Queste considerazioni dovrebbero aiutarci a rivedere l'impostazione del nostro rapporto col mondo animale, senza più dare per scontato la loro sottomissione alla nostra prepotenza, ma imparando, se non altro, ad esprimere riconoscenza ogni qualvolta questi vengono sacrificati per il nostro benessere. Che sia l'animale da soma che ci aiuta nel nostro lavoro pesante, che sia il selvatico che sacrifica la sua pelle per riscaldarci durante l'inverno, o il bovino che si trasformerà in bistecca sul nostra tavola, il minimo che possono esigere è rispetto e riconoscenza.
Un corretto rapporto tra uomo e animali non può venire definito solo da un codice esterno. Scelte come quella di mangiare carne o di essere vegetariani, di usare una pelliccia vera o una sintetica, di tenere in casa un animale esotico piuttosto che un cucciolo nostrano abbandonato, devono coinvolgere prima di tutto la coscienza individuale. In molte culture tradizionali, come quella degli indiani d'America, ogni impresa di caccia si conclude con una cerimonia di scusa e ringraziamento agli animali che sono stati sacrificati per permettere la sopravvivenza dell'uomo! Forse abbiamo ancora molto da imparare da popoli che sono stati superficialmente chiamato "primitivi"!
Si tratta proprio di una diversa impostazione del rapporto uomo-universo. Quando riconosceremo di non essere soli, su questo pianeta, e di non avere necessariamente il diritto di prevaricare altre forme di vita solo perché "noi pensiamo e loro no" (ammesso che sia davvero così), scopriremo che agli animali dobbiamo come minimo rispetto, oltre a un profondo senso di solidarietà, giacché è molto più ciò che ci accomuna da ciò che ci divide.

Fonte

Tina


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