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Anche per il buddismo, i gatti rappresentavano e rappresentano, la spiritualità. A loro sono dedicati otto manoscritti rinvenuti, chiamati Tamra Maew, letteralmente ‘libro dei gatti’. In uno di questi manoscritti vi è narrato come una persona che riusciva a raggiungere i massimi livelli di spiritualità avesse l’opportunità di trasferire la propria anima, una volta che il suo corpo avesse cessato di vivere, in un gatto e dalla quale, alla fine della vita del gatto, poteva salire in una dimensione illuminata.

Un periodo decisamente meno illuminato, buio e carico di superstizione per i gatti fu il Medioevo, durante il quale subirono atroci sevizie. Benché questo atteggiamento contro i gatti avesse inizio nel X sec., l’ultimo gatto giustiziato in Inghilterra per stregoneria morì addirittura nel 1712.

Già a opinione degli gnostici, il gatto era legato agli aspetti diabolici della femminilità.
Si ricorda, in tal senso, che la pura e ribelle Lilith, l’incontrollabile, l’imprevedibile, la vergine selvaggia, sovrana delle ombre, scelse per compagno lo spirito stesso della notte e del mistero: il gatto.

I cristiani videro da sempre questo felino di mal occhio, accusandolo di portare con sé tutti i malefici possibili. Per di più, il gatto fu molto presto associato alla stregoneria: le streghe amavano trasformarsi in animali, in particolare in gatte; una donna che vivesse con molti gatti (ritenuti inviati dal diavolo stesso per aiutarla nei suoi incantesimi) era additata come strega.

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