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Tra esagerazioni e carenze
Fin dai tempi degli Egizi, le ciglia, e gli occhi in generale, venivano evidenziate rudimentalmente sia da uomini che da donne, per fare in modo che lo sguardo assumesse tutto un altro aspetto. Kohl e unguenti venivano adoperati per scurirle, ma anche per proteggere gli occhi dai raggi solari. Tra i diversi usi diffusi, c’era quello della malachite, ritenuta afrodisiaca, e l’applicazione di una miscela di miele e polvere di carbone che diventava una pasta scura, quasi ad emulare un’antesignana delle ciglia finte.

Tra gli antichi romani, le ciglie dovevano essere lunghe ed incurvate, meticolosamente curate. Il filosofo Plinio il Vecchio infatti sosteneva che un'eccessiva attività sessuale portasse alla loro caduta. Così le donne ne erano ossessionate: utilizzavano il kohl e il sughero bruciato per scurirle e le pettinavano quotidianamente per liberarle dagli eccessi di prodotto, curandone l'aspetto come dimostrazione della propria castità.

Con l’avvento del Medioevo molte cose cambiarono: l’attenzione si spostò sulla fronte, ritenuta la parte più bella ed erotica del volto femminile, e per esaltarla e sottolinearne l’altezza, spesso le donne rimuovevano ciglia e sopracciglia. Una pratica che sarebbe considerata oggi estrema e irragionevole.

Con il Rinascimento, tornarono in auge. Nello stesso periodo, quando la regina Elisabetta salì al trono, i suoi capelli rossi dorati divennero una fonte di ammirazione e di ispirazione: tutte volevano avere il suo colore e portare le ciglia chiare e lunghe proprio come lei. Il dramma si diffuse quando si rese noto che le sostanze utilizzate per schiarire peli e capelli erano tossiche e che ne causavano la perdita.



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