00 24/11/2009 19:17



DIO IN FASCE


di Federico Garcìa Lorca


E così, Dio scomparso, che voglio averti.
Piccolo cembalo di farina per il neonato.
Brezza e materia unite nell'espressione esatta
per amor della carne che non sa il tuo nome.

E così, forma breve d'inefferabile rumore,
Dio in fasce, Cristo minuscolo ed eterno,
mille volte ripetuto, morto, crocifisso,
dall'impura parola dell'uomo che suda.
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IL PRESEPIO DEI SETTE ANNI

di Achille Campanile




Al presepio Luca cominciava a lavorare parecchi giorni prima di Natale e la preparazione di esso si svolgeva in un'atmosfera di guerra, del tutto in contrasto col carattere idillico della pia bisogna. Le prime scaramucce avvenivano quando, un paio di settimane avanti la Vigilia, si tiravan fuori gli accessori conservati dal Natale precedente. Tutti rotti o malandati. Bisognava far quasi tutto nuovo. Il che dava modo a Luca di tuonare contro il disordine della casa. Dopo di che s'aprivan le ostilità per la scelta del luogo.
I primi anni, questa era caduta su un angolo della stanza da pranzo, ma, in seguito alle proteste della mamma per gli sbaffi di pittura e gli strappi che poi restavano sul parato, il Presepio, snidato e incalzato di stanza in stanza fini in un angolo dell'anticamera dove, a causa della semioscurità del luogo, fu talvolta sommerso dai cappotti dei visitatori; i quali poi se ne andavano bianchi della farina che serviva a far la neve.
Terza operazione bellica: manu militari, Luca requisiva in cucina la spianatoia della pasta, che doveva servire da base al Presepio La cosa non avveniva senza le più alte strida della vecchia e combattiva fantesca, la quale tentava di contender l'oggetto al padrone, in un tira e molla che attingeva momenti d'alta drammaticità. Ciò perché, nonostante Luca assicurasse che, dopo il Presepio, avrebbe restituito intatto quell'accessorio indispensabile per la pasta fatta in casa, a cose avvenute la spianatoia tornava in cucina con una vasta zona verniciata in verde (prati) e irta dei chiodi serviti a fissare ponticelli, alberi e rocce; chiodi la cui sola vista, all'idea d'impastare a mani nude, faceva raggricciar le carni. La vernice verde era percorsa da serpeggianti strisce di vario colore, che rappresentavano le strade di grande comunicazione e i principali corsi d'acqua della Palestina. Ormai su quella spianatoia sarebbero venute soltanto lasagne verdi, a causa della vernice.
Il problema laghi veniva risolto col sistema degli specchietti, da Luca che, novello Paleocapa, riusciva a dotar la regione d'un sistema idrico mirabile. Poiché i laghetti fra il muschio erano di facile e bell'effetto, egli forse ne abusava un po', coi risultato di trasformare la zona di Betlemme e dintorni, notoriamente un po' arida, in una specie di regione dei laghi, quasi una Finlandia. Questo l'obbligava a dar la caccia a tutti gli specchietti di casa e particolarmente a quelli d'una servetta che poi, riuscendo monotona una regione di laghi perfettamente tondi o quadrati, doveva assistere con un leggero pallore alla rottura di quei fragili oggetti, di cui Luca, ridottili a pezzettini, si serviva anche per effetti di cascatelle.
Le rocce erano ottenute con l'acquisto, nella vicina cartoleria, d'un certo numero di fogli d'imballaggio e con l'uso di vecchi giornali che, appallottolati, ammucchiati e ricoperti dei suddetti fogli sapientemente spiegazzati, figuravano le montagne.
Provvedutosi alla sistemazione orografica, non restava che popolare il paesaggio. Come in tutti i Presepi, non era chiara l'ora, in quanto vi si, vedevano contemporaneamente gruppi che gozzovigliavano all'osteria mangiando spaghetti, talvolta con le mani, greggi che pascolavano, pecorelle nel chiuso addormentate, stelle in cielo, qualche donna che lavava i panni nel torrente. " A quell'ora? " direte. A quell'ora.
li Presepio era affollato di strani nottambuli se, come pareva doversi dedurre dalla presenza delle stelle, era notte: persone affacciate alla finestra, una ragazzina che guidava le oche con un giunco, un maialino che grufolava nel trogolo, una vecchia all'arcolaio, un contadino con l'asino, che andava evidentemente al mercato, un arrotino che arrotava, un panettiere che sfornava, un pizzaiolo che faceva pizze.
Insomma, si facevano cose che solitamente si fanno in ore diversissime l'una dall'altra. E tutto, meno che dormire. Quella era una notte in cui non dormiva nessuno, a eccezione di poche pecorelle. C'erano persino comari che conversavano da un balcone all'altro. E, cosa straordinaria, tra greggi e grotte, s'ergeva anche qualche sontuoso palagio con colonne e peristili, ma in parte già allo stato di rudere. Ed antri muscosi, e fori cadenti.
A confonder vieppiù le idee circa ora, contribuiva il contegno dei pastori, dei quali v'era una straordinaria quantità e varietà. Uno con la pecorella sulle spalle, un altro che portava sulla testa una piccola paniera con ricottine, un terzo steso a meriggiare con la siringa o il sufolo sulle labbra, un quarto che, benché per molti altri fosse notte fonda, faceva ostinatamente solecchio con la mano sulla fronte, a 'ripararsi dai cocenti raggi d'un sole, che non c'era.
Non mancavano un cacciatore col fucile e il cane, né qualche cane da solo, acciambellato o abbaiante, né giocatori di carte e di dadi all'osteria, sonatori di fisarmonica, zampognari. Nell'insieme, una specie di notte di San Giovanni.
A mezzanotte i ragazzi portavano in processione il Bambino Gesù, cantando in coro:
Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo...
Da allora, ogni giorno i re Magi venivano spostati d'un pezzettino, in modo che mettevano esattamente quindici giorni a percorrere da un capo all'altro la spianatoia della pasta, dovendo arrivare all'imboccatura delle grotta sacra il giorno della Befana, coi doni (donde la tradizione dei doni della Befana, da Roma in giù molto più viva che quella dell'albero di Natale).
Disfatto il Presepio, all'indomani della Befana, i pupazzi venivano riposti per l'anno successivo.
La prima volta che fece il Presepio, Luca ignorava che, giusta una diffusa credenza, bisogna poi farlo per sette Natali di seguito, pena le più gravi disgrazie familiari; strano miscuglio di fede e di superstizione. Quando lo seppe, Luca impallidì. Non era un tipo scioccamente superstizioso, anzi non credeva a queste storie e lo proclamava altamente. Ma, dato il gran numero di guai che avevano sempre caratterizzato la sua esistenza, pensava fosse meglio non mettere, come suol dirsi, la salute in questione; meglio evitare. Cosi, continuò a fare il Presepio per sette anni.
La cosa andò liscia per i primi Natali, e precisamente finché egli fu sorretto dall'incondizionata ammirazione dei ragazzi, finché i suoi Presepi ebbero in questi un pubblico entusiasta. Ma, crescendo, essi cominciarono a poco a poco,a restar freddi, di fronte agli specchietti coronati di muschio, alla cometa ritagliata nella stagnola, e a manifestare, pur senza confessarlo, qualche scetticismo, nei confronti del cotone idrofilo e della farina in funzione di neve. Invano il padre cercava di galvanizzarli, di comunicar loro un entusiasmo che ormai non era più sincero nemmeno in lui.
" Guardate com'è bello questo pastore estatico " diceva. Era un'anima d'artista, un esteta e cercava di scoprire il bello anche in umili opere artigiane.
I ragazzi fingevano di ammirare, per fargli piacere, per non disincantarlo nei riguardi del Presepio. Ma alla fine furono costretti a gettar la maschera, si disinteressarono di esso e cominciarono addirittura, a un certo punto, a presenziare con fatica alle solennità familiari.
Cosi il padre, verso gli ultimi dei sette anni, finì per fare il Presepio da solo e quasi pro forma, per un cortese dovere, per non restare con lo scrupolo di non aver fatto tutto quanto fosse in suo potere al fine di scongiurare qualcuno almeno dei guai di cui la sorte gli fu sempre prodiga.
Approssimandosi il Natale, riacciuffava la spianatoia della pasta, ma senza la balda combattività d'una volta. Si capiva che ormai lo faceva a freddo. Ritirava fuori i vecchi pupazzi e li disponeva in fretta, a caso, perfino, molto approssimativamente, tanto per non saltare un'annata, sempre per quella storia dei temuti sette anni di guai. E si videro, talvolta, strani accostamenti: gallinelle nel chiuso e pecore nel pollaio, l'eremita che spuntava dal pozzo, un cammello all'osteria, il mendicante sul tetto, l'arrotino sul balcone e i re Magi nel torrente.
Inoltre, come s'è detto, da un anno all'altro più d'un pezzo si rompeva. Ma ormai visto il disinteressamento dei ragazzi, il padre non aveva più nessuna voglia di comperare pezzi nuovi. Cosi finirono per vedersi in casa Presepi sempre più affollati di pastori zoppi, osti con una gamba sola, o senza braccia; la cometa aveva la coda molto spelacchiata, l'asino l'aveva perduta addirittura, il bue era mutilato d'un corno, si vedevano cammelli a tre gambe e le persone all'osteria invano tentavano di portare alla bocca gli spaghetti, visto che erano senza testa. Di qualche pecora erano rimasti solo mezza pancia, o i quarti posteriori, e San Giuseppe somigliava a San Giovanni Decollato. Insomma, un Cottolengo.

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IL PRESEPE

di Salvatore Quasimodo


Natale. Guardo il presepe scolpito
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.

Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.

Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure in legno ed ecco i vecchi
del villaggio e la stalla che risplende
e l'asinello di colore azzurro.
IL PRESEPE

di Salvatore Quasimodo


Natale. Guardo il presepe scolpito
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.

Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.

Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure in legno ed ecco i vecchi
del villaggio e la stalla che risplende
e l'asinello di colore azzurro.

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RACCONTO DI NATALE

di Dino Buzzati




Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda – lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1 carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.

Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in cenci.

"Che quantità di Dio! " esclamò sorridendo costui guardandosi intorno- "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori.

Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale. "

"E di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."

"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"

"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.

Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.

Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.

Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c era un poco di Dio.

"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"

"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."

"Caro_il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."

E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.

Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.

"Ma che cosa fa, reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"

"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"

Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."

" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."

"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."

"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."

"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.

Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).

Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"

Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?

Finche' udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.

"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."

Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.

"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può' sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"