I riti dell’Epifania.
Anticamente la notte dell’Epifania era anche l’occasione per praticare tutta una serie di riti apotropaici, in cui la tradizione cristiana si ammantava di paganesimo in un sincretismo davvero originale. E’ diffusa ancora ai giorni nostri l’usanza di “ardere la vecia”: un enorme pupazzo, composto da legna, stracci e fascine, di forma umana, viene posto su di una pila di legna e dato alle fiamme. La figura della “vecia” era una specie di capro espiatorio per esorcizzare tutto il male e per propiziarsi l’abbondanza e la fertilità dei campi. Con la distruzione della vecchio nell’immaginario popolare (forse un antico retaggio di sacrifici umani o animali) si intendeva rappresentare la fine di tutti i mali. La stessa cosa avviene la notte di Capodanno, quando si lanciano oggetti vecchi dalle finestre.
In alcune località del Veneto e del Friuli si lanciano delle ruote di legno incendiate lungo i pendii dei monti; il rito viene detto “rito della stella”, perché anticamente le ruote rappresentavano la corsa del sole nel cielo.
Nel trevigiano era in uso fino a pochi decenni fa la tradizione della “notte del panevin”. Si accendevano grandi fuochi, appiccati dai bambini più piccoli del paese, e tutti prendevano a danzare attorno al falò, intonando un canto che recitava:
“Evviva il panevino,
la focaccia sotto il camino,
fagioli per i figli, fieno per i buoi,
polenta per i bambini, santità ed allegrezza”.
Nel modenese i contadini usavano colpire con un ramoscello gli alberi da frutta, ripetendo una filastrocca di buon augurio:
“Carga, carga, e tin, tin,
tan, treinta cavagn st’an ech vin
(caricati, caricati, e tienili, tienili,
fanne trenta ceste nell’anno che sta per venire)”.
Dario Spada
Fonte.
Tina.