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Mondi dei Misteri

Brani sul Natale - racconti

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    NATALE

    di Giuseppe Ungaretti


    Non ho voglia
    di tuffarmi
    in un gomitolo
    di strade

    Ho tanta
    stanchezza
    sulle spalle

    Lasciatemi così
    come una
    cosa
    posata
    in un
    angolo
    e dimenticata

    Qui
    non si sente
    altro
    che il caldo buono

    Sto
    con le quattro
    capriole
    di fumo
    del focolare


    Napoli, il 26 dicembre 1916



    [SM=x2039725]

    da "PER CHI VIENE"

    di Primo Mazzolari


    La tenebra che saliva saliva, mentre la nebbia continuava a scendere, gli tolse a poco a poco la violenta rivolta dalla mente, lasciandogli l'animo sommerso in quella inafferrabile tristezza che dà la giustizia soddisfatta degli uomini ben difesi e ben pasciuti.
    Non sarebbe entrato dall'Argia, pur passandole sulla porta.
    Certi dinieghi non si vanno a raccontare a una creatura che resta in vita solo per un'attesa.
    Ma in chiesa, alla Messa, come avrebbe potuto parlare della bontà del Salvatore, quando una famiglia aveva chiuso fuori il Signore in quel modo?
    Il primo segno delle campane lo sorprese nel mezzo di un dibattito che minacciava di sommergerlo.
    I Fraccari avevano fatto saltare l'argine della sua poca fede: e Dio glielo veniva ricomponendo nell'esultanza del suo campanile, che gli restituiva la certezza dell'Avvento.
    "Se Egli viene, se niente lo ferma, perché io che, in fondo, non sono che una voce che grida nel deserto, non dovrei gridarlo alla mia gente, che il Salvatore, proprio questa notte, viene per Dolfo in galera, per l'Argia la morente, per Braccio di ferro il fariseo, e per un povero prete di poca fede?".

    "Adesso", 1 gennaio 1957

    [SM=x2039725]


    UNA STELLA SULLA STRADA DI BETLEMME

    di Boris Pasternak


    Era inverno
    e soffiava il vento della steppa.
    Freddo aveva il neonato nella grotta
    sul pendio del colle.
    L'alito del bue lo riscaldava.

    Animali domestici stavano nella grotta.
    Sulla culla vagava un tiepido vapore.
    Dalle rupi guardavano
    assonnati i pastori
    gli spazi della mezzanotte.

    E li accanto, sconosciuta prima d'allora,
    più modesta di un lucignolo
    alla finestrella di un capanno,
    tremava una stella
    sulla strada di Betlemme.


    [SM=x2039724]


    UNA STELLA SULLA STRADA DI BETLEMME

    di Boris Pasternak


    Era inverno
    e soffiava il vento della steppa.
    Freddo aveva il neonato nella grotta
    sul pendio del colle.
    L'alito del bue lo riscaldava.

    Animali domestici stavano nella grotta.
    Sulla culla vagava un tiepido vapore.
    Dalle rupi guardavano
    assonnati i pastori
    gli spazi della mezzanotte.

    E li accanto, sconosciuta prima d'allora,
    più modesta di un lucignolo
    alla finestrella di un capanno,
    tremava una stella
    sulla strada di Betlemme.

    [SM=x1868338]

    CAFFÈ A RAPALLO
    di Eugenio Montale


    Natale nel tepidario
    lustrante, truccato dai fumi
    che svolgono tazze, velato
    tremore di lumi oltre i chiusi
    cristalli, profili di femmine
    nel grigio, tra lampi di gemme
    e screzi di sete...
    Son giunte
    a queste native tue spiagge,
    le nuove Sirene!; e qui manchi
    Camillo, amico, tu storico
    di cupidige e di brividi.

    S'ode grande frastuono nella via.

    È passata di fuori
    l'indicibile musica
    delle trombe di lama
    e dei piattini arguti dei fanciulli:
    è passata la musica innocente.

    Un mondo gnomo ne andava
    con strepere di muletti e di carriole,
    tra un lagno di montoni
    di cartapesta e un bagliare
    di sciabole fasciate di stagnole.
    Passarono i Generali
    con le feluche di cartone
    e impugnavano aste di torroni;
    poi furono i gregari
    con moccoli e lampioni,
    e le tinnanti scatole
    ch'ànno il suono più trito,
    tenue rivo che incanta
    l'animo dubitoso:
    (meraviglioso udivo).

    L'orda passò col rumore
    d'una zampante greggia
    che il tuono recente impaura.
    L'accolse la pastura
    che per noi più non verdeggia.


    [SM=x1868338]
    IL PASTORE

    di Piero Bargellini




    Che freddo quella notte! Le stelle bucavano il cielo come punte di diamante. Il gelo induriva la terra. Sulla collina di Betlem tutte le luci erano spente, ma nella vallata ardevano, rossi, i nostri fuochi.
    Le pecore, ammassate dentro gli stazzi, si addossavano le une sulle altre, col muso nascosto nei velli.
    Noi di guardia invidiavamo le bestie che potevano difendersi così bene dal freddo. Si stava attorno ai fuochi che ci cocevano da una parte, mentre dall'altra si gelava.
    Sulla mezzanotte il fuoco cominciò a crepitare come se qualcuno vi avesse gettato un fascio di pruni secchi.
    Nello stazzo, le pecore si misero a tramenare. Alzavano i musi in aria, e belavano.
    - Sentono il lupo, - pensai.
    Cercai a tasto il bastone e mi alzai. I cani giravano su se stessi e uggiolavano.
    - Hanno paura anche loro, - pensai.
    Intanto anche i compagni si erano levati da terra. Facemmo gruppo scrutando la campagna.
    Non era più freddo. Il cuore, invece di battere per la paura, sussultava quasi di gioia. Era d'inverno, e ci sentivamo allegri come se fosse stata primavera. Era di notte, e si vedeva luce come di giorno.
    Sembrava che l'aria fosse diventata polvere luminosa. E in quella polvere, a un tratto, prese figura una creatura così bella che ne provammo sgomento.
    - Non temete, - disse l'apparizione. - Io vi annunzio una grande gioia destinata a tutto il popolo. Oggi vi è nato un Salvatore, nella città di David. E questo sia per voi il segnale: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia.
    Non aveva finito di parlare, che da ogni parte del cielo apparvero Angeli luminosi, e cantavano: - Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà.
    Poi tornò la notte, e noi restammo come ciechi nella valle piena di oscurità. I fuochi si erano spenti. Le pecore tacevano. I cani s'erano acciambellati per terra.
    - Abbiamo sognato! - pensammo. Ma eravamo in troppi a fare lo stesso sogno.
    Lì vicino, sulla costa della collina, erano scavate alcune grotte, che servivano da stalla. Avevano la mangiatoia formata di terra dura. Se il Salvatore si trovava in una mangiatoia, voleva dire che era nato in una di quelle povere grotte.
    Infatti trovammo, come ci aveva detto l'Angelo, un Bambino fasciato, in mezzo a due animali, un bove e un asino. L'asino vi era giunto coi genitori del Bambino.
    Sul basto sedeva il padre, pensieroso. Presso la mangiatoia, si trovava inginocchiata la madre, in adorazione del suo nato.
    Guardai quel Bambino e il mio cuore s'intenerì. Sono un povero pastore, ma ogni volta che vedo un agnellino mi commuovo. E quel Bambino mi parve il più tenero, il più innocente degli agnelli.
    Non so dire altro. Posso solo aggiungere che non ho più provato in vita mia una dolcezza simile a quella provata dinanzi a quel Bambino.
    Anche ora che ci ripenso, mi torna la tenerezza per quell'Agnello innocente e gentile.
    Sono un povero pastore. Perdonatemi se lo chiamo così. È per me il nome più dolce e più caro.
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    DIO IN FASCE


    di Federico Garcìa Lorca


    E così, Dio scomparso, che voglio averti.
    Piccolo cembalo di farina per il neonato.
    Brezza e materia unite nell'espressione esatta
    per amor della carne che non sa il tuo nome.

    E così, forma breve d'inefferabile rumore,
    Dio in fasce, Cristo minuscolo ed eterno,
    mille volte ripetuto, morto, crocifisso,
    dall'impura parola dell'uomo che suda.
    [SM=x2039724]

    IL PRESEPIO DEI SETTE ANNI

    di Achille Campanile




    Al presepio Luca cominciava a lavorare parecchi giorni prima di Natale e la preparazione di esso si svolgeva in un'atmosfera di guerra, del tutto in contrasto col carattere idillico della pia bisogna. Le prime scaramucce avvenivano quando, un paio di settimane avanti la Vigilia, si tiravan fuori gli accessori conservati dal Natale precedente. Tutti rotti o malandati. Bisognava far quasi tutto nuovo. Il che dava modo a Luca di tuonare contro il disordine della casa. Dopo di che s'aprivan le ostilità per la scelta del luogo.
    I primi anni, questa era caduta su un angolo della stanza da pranzo, ma, in seguito alle proteste della mamma per gli sbaffi di pittura e gli strappi che poi restavano sul parato, il Presepio, snidato e incalzato di stanza in stanza fini in un angolo dell'anticamera dove, a causa della semioscurità del luogo, fu talvolta sommerso dai cappotti dei visitatori; i quali poi se ne andavano bianchi della farina che serviva a far la neve.
    Terza operazione bellica: manu militari, Luca requisiva in cucina la spianatoia della pasta, che doveva servire da base al Presepio La cosa non avveniva senza le più alte strida della vecchia e combattiva fantesca, la quale tentava di contender l'oggetto al padrone, in un tira e molla che attingeva momenti d'alta drammaticità. Ciò perché, nonostante Luca assicurasse che, dopo il Presepio, avrebbe restituito intatto quell'accessorio indispensabile per la pasta fatta in casa, a cose avvenute la spianatoia tornava in cucina con una vasta zona verniciata in verde (prati) e irta dei chiodi serviti a fissare ponticelli, alberi e rocce; chiodi la cui sola vista, all'idea d'impastare a mani nude, faceva raggricciar le carni. La vernice verde era percorsa da serpeggianti strisce di vario colore, che rappresentavano le strade di grande comunicazione e i principali corsi d'acqua della Palestina. Ormai su quella spianatoia sarebbero venute soltanto lasagne verdi, a causa della vernice.
    Il problema laghi veniva risolto col sistema degli specchietti, da Luca che, novello Paleocapa, riusciva a dotar la regione d'un sistema idrico mirabile. Poiché i laghetti fra il muschio erano di facile e bell'effetto, egli forse ne abusava un po', coi risultato di trasformare la zona di Betlemme e dintorni, notoriamente un po' arida, in una specie di regione dei laghi, quasi una Finlandia. Questo l'obbligava a dar la caccia a tutti gli specchietti di casa e particolarmente a quelli d'una servetta che poi, riuscendo monotona una regione di laghi perfettamente tondi o quadrati, doveva assistere con un leggero pallore alla rottura di quei fragili oggetti, di cui Luca, ridottili a pezzettini, si serviva anche per effetti di cascatelle.
    Le rocce erano ottenute con l'acquisto, nella vicina cartoleria, d'un certo numero di fogli d'imballaggio e con l'uso di vecchi giornali che, appallottolati, ammucchiati e ricoperti dei suddetti fogli sapientemente spiegazzati, figuravano le montagne.
    Provvedutosi alla sistemazione orografica, non restava che popolare il paesaggio. Come in tutti i Presepi, non era chiara l'ora, in quanto vi si, vedevano contemporaneamente gruppi che gozzovigliavano all'osteria mangiando spaghetti, talvolta con le mani, greggi che pascolavano, pecorelle nel chiuso addormentate, stelle in cielo, qualche donna che lavava i panni nel torrente. " A quell'ora? " direte. A quell'ora.
    li Presepio era affollato di strani nottambuli se, come pareva doversi dedurre dalla presenza delle stelle, era notte: persone affacciate alla finestra, una ragazzina che guidava le oche con un giunco, un maialino che grufolava nel trogolo, una vecchia all'arcolaio, un contadino con l'asino, che andava evidentemente al mercato, un arrotino che arrotava, un panettiere che sfornava, un pizzaiolo che faceva pizze.
    Insomma, si facevano cose che solitamente si fanno in ore diversissime l'una dall'altra. E tutto, meno che dormire. Quella era una notte in cui non dormiva nessuno, a eccezione di poche pecorelle. C'erano persino comari che conversavano da un balcone all'altro. E, cosa straordinaria, tra greggi e grotte, s'ergeva anche qualche sontuoso palagio con colonne e peristili, ma in parte già allo stato di rudere. Ed antri muscosi, e fori cadenti.
    A confonder vieppiù le idee circa ora, contribuiva il contegno dei pastori, dei quali v'era una straordinaria quantità e varietà. Uno con la pecorella sulle spalle, un altro che portava sulla testa una piccola paniera con ricottine, un terzo steso a meriggiare con la siringa o il sufolo sulle labbra, un quarto che, benché per molti altri fosse notte fonda, faceva ostinatamente solecchio con la mano sulla fronte, a 'ripararsi dai cocenti raggi d'un sole, che non c'era.
    Non mancavano un cacciatore col fucile e il cane, né qualche cane da solo, acciambellato o abbaiante, né giocatori di carte e di dadi all'osteria, sonatori di fisarmonica, zampognari. Nell'insieme, una specie di notte di San Giovanni.
    A mezzanotte i ragazzi portavano in processione il Bambino Gesù, cantando in coro:
    Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo...
    Da allora, ogni giorno i re Magi venivano spostati d'un pezzettino, in modo che mettevano esattamente quindici giorni a percorrere da un capo all'altro la spianatoia della pasta, dovendo arrivare all'imboccatura delle grotta sacra il giorno della Befana, coi doni (donde la tradizione dei doni della Befana, da Roma in giù molto più viva che quella dell'albero di Natale).
    Disfatto il Presepio, all'indomani della Befana, i pupazzi venivano riposti per l'anno successivo.
    La prima volta che fece il Presepio, Luca ignorava che, giusta una diffusa credenza, bisogna poi farlo per sette Natali di seguito, pena le più gravi disgrazie familiari; strano miscuglio di fede e di superstizione. Quando lo seppe, Luca impallidì. Non era un tipo scioccamente superstizioso, anzi non credeva a queste storie e lo proclamava altamente. Ma, dato il gran numero di guai che avevano sempre caratterizzato la sua esistenza, pensava fosse meglio non mettere, come suol dirsi, la salute in questione; meglio evitare. Cosi, continuò a fare il Presepio per sette anni.
    La cosa andò liscia per i primi Natali, e precisamente finché egli fu sorretto dall'incondizionata ammirazione dei ragazzi, finché i suoi Presepi ebbero in questi un pubblico entusiasta. Ma, crescendo, essi cominciarono a poco a poco,a restar freddi, di fronte agli specchietti coronati di muschio, alla cometa ritagliata nella stagnola, e a manifestare, pur senza confessarlo, qualche scetticismo, nei confronti del cotone idrofilo e della farina in funzione di neve. Invano il padre cercava di galvanizzarli, di comunicar loro un entusiasmo che ormai non era più sincero nemmeno in lui.
    " Guardate com'è bello questo pastore estatico " diceva. Era un'anima d'artista, un esteta e cercava di scoprire il bello anche in umili opere artigiane.
    I ragazzi fingevano di ammirare, per fargli piacere, per non disincantarlo nei riguardi del Presepio. Ma alla fine furono costretti a gettar la maschera, si disinteressarono di esso e cominciarono addirittura, a un certo punto, a presenziare con fatica alle solennità familiari.
    Cosi il padre, verso gli ultimi dei sette anni, finì per fare il Presepio da solo e quasi pro forma, per un cortese dovere, per non restare con lo scrupolo di non aver fatto tutto quanto fosse in suo potere al fine di scongiurare qualcuno almeno dei guai di cui la sorte gli fu sempre prodiga.
    Approssimandosi il Natale, riacciuffava la spianatoia della pasta, ma senza la balda combattività d'una volta. Si capiva che ormai lo faceva a freddo. Ritirava fuori i vecchi pupazzi e li disponeva in fretta, a caso, perfino, molto approssimativamente, tanto per non saltare un'annata, sempre per quella storia dei temuti sette anni di guai. E si videro, talvolta, strani accostamenti: gallinelle nel chiuso e pecore nel pollaio, l'eremita che spuntava dal pozzo, un cammello all'osteria, il mendicante sul tetto, l'arrotino sul balcone e i re Magi nel torrente.
    Inoltre, come s'è detto, da un anno all'altro più d'un pezzo si rompeva. Ma ormai visto il disinteressamento dei ragazzi, il padre non aveva più nessuna voglia di comperare pezzi nuovi. Cosi finirono per vedersi in casa Presepi sempre più affollati di pastori zoppi, osti con una gamba sola, o senza braccia; la cometa aveva la coda molto spelacchiata, l'asino l'aveva perduta addirittura, il bue era mutilato d'un corno, si vedevano cammelli a tre gambe e le persone all'osteria invano tentavano di portare alla bocca gli spaghetti, visto che erano senza testa. Di qualche pecora erano rimasti solo mezza pancia, o i quarti posteriori, e San Giuseppe somigliava a San Giovanni Decollato. Insomma, un Cottolengo.

    [SM=x2039724]


    IL PRESEPE

    di Salvatore Quasimodo


    Natale. Guardo il presepe scolpito
    dove sono i pastori appena giunti
    alla povera stalla di Betlemme.

    Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
    salutano il potente Re del mondo.

    Pace nella finzione e nel silenzio
    delle figure in legno ed ecco i vecchi
    del villaggio e la stalla che risplende
    e l'asinello di colore azzurro.
    IL PRESEPE

    di Salvatore Quasimodo


    Natale. Guardo il presepe scolpito
    dove sono i pastori appena giunti
    alla povera stalla di Betlemme.

    Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
    salutano il potente Re del mondo.

    Pace nella finzione e nel silenzio
    delle figure in legno ed ecco i vecchi
    del villaggio e la stalla che risplende
    e l'asinello di colore azzurro.

    [SM=x2039725]


    RACCONTO DI NATALE

    di Dino Buzzati




    Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda – lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1 carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.

    Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in cenci.

    "Che quantità di Dio! " esclamò sorridendo costui guardandosi intorno- "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori.

    Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale. "

    "E di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."

    "Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"

    "Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.

    Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.

    Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.

    Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c era un poco di Dio.

    "Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"

    "Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."

    "Caro_il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."

    E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.

    Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.

    "Ma che cosa fa, reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"

    "Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"

    Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."

    " Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."

    "Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."

    "Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."

    "Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.

    Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).

    Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"

    Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?

    Finche' udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.

    "Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."

    Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.

    "Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può' sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"
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    da "QUESTO FREDDO DI BETLEMME LO SENTÌ IL BAMBINO"

    di Alberto Moravia




    "Il Natale mi fa pensare a quelle anfore romane che ogni tanto i pescatori tirano fuori dal mare con le loro reti, tutte ricoperte di conchiglie e di incrostazioni marine che le rendono irriconoscibili. Per ritrovarne la forma, bisogna togliere tutte le incrostazioni. Così il Natale. Per ritrovarne il significato autentico bisognerebbe liberarlo da tutte le incrostazioni consumistiche, festaiole, abitudinarie, cerimoniose, eccetera, eccetera. Poi si vedrebbe".



    Betlemme si presenta alla vista in maniera non dissimile da tante piccole città dell'Umbria e della Toscana, in cima ad una collina, con le case arrampicato sul pendio e la basilica della Natività bene in vista sopra uno sperone. ù un luogo montanino, Betlemme, e nella piazza, davanti al sagrato, soffia un vento freddo che spazza le pietre del lastricato. Per la piazza girano i soliti venditori di ricordi, di rosari e di immagini; ma, al contrario di Gerusalemme, qui sono più discreti, e almeno un ricordo tra la tanta paccottiglia che offrono ha una sua grazia: un cartoncino sul quale sono incollati alcuni fiorellini freschi della collina di Betlemme. Come, poi, entriamo nella basilica della Natività, il passaggio dalla natura gentile e poetica all'antichità venerabile del tempio è anch'esso reminiscente dell'Italia: a questo modo, sopra paesaggi luminosi e puri, in piccole città vetuste, si aprono anche i portali anneriti delle chiese più antiche e più ispirate della provincia italiana.
    La basilica della Natività, al contrario del Santo Sepolcro, è un luogo tranquillo, preservato, e persino negletto. Le dispute tra latini e greci, talvolta addirittura sanguinose, hanno portato la basilica alla presente condizione che sembra richiedere urgentemente un avveduto restauro. Polvere nera, di secoli, vela il marmo, che fu già rosso, delle colonne monolitiche e i capitelli corinzi; sopra gli architravi, là dove non affiorano alcuni brani, anch'essi anneriti, degli splendidi mosaici, l'intonaco è caduto in più punti, scoprendo l'ammattonato; un muretto ignobile, mezzo sgretolato, divide la navata centrale dall'abside. Eppure, forse appunto per questo abbandono che ne garantisce l'autenticità, la basilica è oltremodo commovente: essa documenta con le sue pietre il passaggio senza soluzione di continuità dall'arte pagana a quella cristiana; permette di rivivere il momento unico in cui la nuova fede ridiede vita profonda ai vecchi stili esausti. La basilica, nonostante le molte vicende, è rimasta, a quanto pare, sensibilmente qual era nell'anno 330 dopo Cristo quando fu edificata per ordine della madre di Costantino. Tra tutti i miracoli di questo paese miracoloso, la preservazione di questa chiesa costruita sulla grotta dove nacque Gesù, è senza dubbio uno dei più notevoli. E si vuol ricordare come un tratto strano e potente, che perfino l'invasione persiana di Cosroe, la più spietata e disastrosa che mai ebbero a subire queste disgraziate contrade, si fermò sulla soglia della basilica grazie ad un particolare assai significativo: le vesti persiane che in un antico mosaico indossavano le figure dei tre re magi.
    Per rozzi e angusti scalini si discende, dietro all'altare, alla grotta della Natività. È un antro oscuro e irregolare, e la mangiatoia, che normalmente nelle stalle è di legno, vi era invece scavata nella viva roccia, in forma di piccola vasca. Gli animali del presepe si vedono tuttora per le straducce di Betlemme: gli asini bianchi dai grandi occhi neri, i buoi striminziti, le magre vaccherelle di questo paese sassoso, le pecore, le capre. La tradizione anche qui è perfettamente credibile: Gesù nacque sulla paglia che serviva da letto ai pochi animali di questa piccola stalla; appena nato, fu deposto nella mangiatoia ricavata nella roccia; e gli animali che sporgevano il loro muso verso questa mangiatoia e che, forse, cercarono di continuare a mangiare tirando via i fili di paglia da sotto il corpo del neonato, lo riscaldarono così, naturalmente, con il loro fiato. Il destino terreno di Gesù, d'altronde, è legato oltre che ai paesaggi rnistici e luminosi della Palestina anche a queste grotte che dovunque si aprono nel terreno roccioso. Altra grotta assai profonda, questa in piena Gerusalemme, serviva probabilmente, da tempo immemorabile, da prigione. Oggi vi si scende in processione per vedere il luogo buio e sconfortante in cui Gesù fu imprigionato con Barabba. E come la mangiatoia appare scavata nella roccia viva, così nella prigione di Cristo sono scavate nella roccia le maniglie di pietra alle quali i due prigionieri furono assicurati per i polsi. Colline soavi e sparse di ulivi e di cipressi, grotte oscure e anfratti: così, erano nel vero i nostri pittori primitivi che pur non avendo mai visitato la Terrasanta, diedero nei loro quadri una descrizione di questi luoghi che non potrebbe essere più esatta, con una chiaroveggenza che non si può attribuire alla candida fede che li ispirava.


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    LA MANGIATOIA
    di Ai Qing




    Per l'anniversario della nascita di un Nazareno
    Perché nevica ancora?
    I passeri sulla staccionata guardano il cielo
    il cielo è così buio
    qualcuno passa oltre la mangiatoia
    alla mangiatoia, il pianto di una donna
    come se le lacrime di dolore e vergogna
    di tutta una notte
    ancora non bastassero a inumidire
    la terra inaridita dell'inverno!
    Qualcuno passa oltre la mangiatoia
    dalla mangiatoia vengono lamenti che strappano il cuore
    ah , con innumerevoli dita
    la folla segna la fanciulla-madre
    sprezzata come immondizia
    nessuno è disposto a portarle un catino per il sangue
    a versarle un secchio di acqua calda.
    II vento penetra nelle crepe del muro di terra
    è il ghigno del freddo invernale
    lei lotta lotta lotta
    la testa appoggiata alla staccionata
    guardate, tra i capelli scarmigliati
    scintillano febbri citanti gli occhi luminosi
    questa donna di Betlemme scacciata,
    esposta alla pubblica infamia
    vittima del disprezzo della folla
    tutto il corpo in un bagno di sudore
    Vento soffia ancora con forza
    perché ti sei placato?
    Ascoltate i teneri vagiti
    il sangue della puerpera
    la mangiatoia mai prima fiorita
    ha cosparso di splendidi fiori
    la piccola vita
    dà nuova forza alla madre
    nella paglia di riso quattro membra si muovono
    qualcuno passa oltre la mangiatoia
    rivolge sguardi obliqui
    qualcuno passa oltre la mangiatoia
    si allontana sdegnoso
    qualcuno passa oltre la mangiatoia
    muove gelide risa
    il bimbo primogenito
    col suo pianto spaurito
    viene a conoscere questo mondo straniero
    dalla nebbia del malessere
    Maria si risveglia
    china il viso di cenere
    e parla tra le lacrime
    che scorrono ininterrotte
    «Bambino mio
    a Betlemme
    noi saremo scacciati
    noi andiamo
    raminghi a farti crescere
    Oggi ci incamminiamo
    ricordati che sei
    nato nella mangiatoia
    figlio di una donna reietta
    che ti ha dato la vita nel dolore e nell' oppressione
    quando ne avrai le forze
    dovrai con le tue lacrime
    lavare i peccati degli uomini».
    Dolorosamente si leva
    avvolge il neonato nel suo petto
    e desolata lascia la mangiatoia
    fiocchi di neve turbinano sui suoi capelli sparsi
    in silenzio
    va via.


    Natale 1936


    [SM=x2039724]


    NATALE A REGALPETRA

    di Leonardo Sciascia




    Le feste di Natale sono finite. Non per tutti sono state gioiose e ricche. Non tutti sono andati in montagna a sciare. A Regalpetra, che si trova in Sicilia, qualche anno fa le cose andavano come ce le descrive questo grande scrittore siciliano .E da allora, non vi sono stati molti mutamenti …

    - Il vento porta via le orecchie - dice il bidello.
    Dalle vetrate vedo gli alberi piegati come nello slancio di una corsa.
    I ragazzi battono i piedi, si soffiano sulle mani cariche di geloni.
    L’aula ha quattro grandi vetrate: damascate di gelo, tintinnano per il vento come le sonagliere di un mulo.
    Come al solito, in una paginetta di diario, i ragazzi mi raccontano come hanno passato il giorno di Natale:
    tutti hanno giuocato a carte, a scopa, sette e mezzo e ti-vitti (ti ho visto :un gioco che non consente la minima distrazione); sono andati alla messa di mezzanotte, hanno mangiato il cappone e sono andati al cinematografo.
    Qualcuno afferma di aver studiato dall’alba, dopo la messa, fino a mezzogiorno; ma è menzogna evidente.
    In complesso tutti hanno fatto le stesse cose; ma qualcuno le racconta con aria di antica cronaca:"La notte di Natale l’ho passata alle carte, poi andai alla Matrice che era piena di gente e tutta luminaria, e alle ore sei fu la nascita di Gesù".
    Alcuni hanno scritto,senza consapevole amarezza, amarissime cose:
    "Nel giorno di Natale ho giocato alle carte e ho vinto quattrocento lire e con questo denaro prima di tutto compravo i quaderni e la penna e con quelli che restano sono andato al cinema e ho pagato il biglietto a mio padre per non spendere i suoi denari e lui lì dentro mi ha comprato sei caramelle e gazosa".
    Il ragazzo si è sentito felice, ha fatto da amico a suo padre Pagandogli il biglietto del cinema…
    Ha fatto un buon Natale. Ma il suo Natale io l’avrei voluto diverso, più spensierato.
    "La mattina del Santo Natale - scrive un altro – mia madre mi ha fatto trovare l’acqua calda per lavarmi tutto".
    La giornata di festa non gli ha portato nient’altro di così bello. Dopo che si è lavato e asciugato e vestito, è uscito con suo padre "per fare la spesa". Poi ha mangiato il riso col brodo e il cappone.
    "E così ho passato il Santo Natale".

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    NATALE A REGALPETRA
    di Leonardo Sciascia




    Le feste di Natale sono finite. Non per tutti sono state gioiose e ricche. Non tutti sono andati in montagna a sciare. A Regalpetra, che si trova in Sicilia, qualche anno fa le cose andavano come ce le descrive questo grande scrittore siciliano .E da allora, non vi sono stati molti mutamenti …

    - Il vento porta via le orecchie - dice il bidello.
    Dalle vetrate vedo gli alberi piegati come nello slancio di una corsa.
    I ragazzi battono i piedi, si soffiano sulle mani cariche di geloni.
    L’aula ha quattro grandi vetrate: damascate di gelo, tintinnano per il vento come le sonagliere di un mulo.
    Come al solito, in una paginetta di diario, i ragazzi mi raccontano come hanno passato il giorno di Natale:
    tutti hanno giuocato a carte, a scopa, sette e mezzo e ti-vitti (ti ho visto :un gioco che non consente la minima distrazione); sono andati alla messa di mezzanotte, hanno mangiato il cappone e sono andati al cinematografo.
    Qualcuno afferma di aver studiato dall’alba, dopo la messa, fino a mezzogiorno; ma è menzogna evidente.
    In complesso tutti hanno fatto le stesse cose; ma qualcuno le racconta con aria di antica cronaca:"La notte di Natale l’ho passata alle carte, poi andai alla Matrice che era piena di gente e tutta luminaria, e alle ore sei fu la nascita di Gesù".
    Alcuni hanno scritto,senza consapevole amarezza, amarissime cose:
    "Nel giorno di Natale ho giocato alle carte e ho vinto quattrocento lire e con questo denaro prima di tutto compravo i quaderni e la penna e con quelli che restano sono andato al cinema e ho pagato il biglietto a mio padre per non spendere i suoi denari e lui lì dentro mi ha comprato sei caramelle e gazosa".
    Il ragazzo si è sentito felice, ha fatto da amico a suo padre Pagandogli il biglietto del cinema…
    Ha fatto un buon Natale. Ma il suo Natale io l’avrei voluto diverso, più spensierato.
    "La mattina del Santo Natale - scrive un altro – mia madre mi ha fatto trovare l’acqua calda per lavarmi tutto".
    La giornata di festa non gli ha portato nient’altro di così bello. Dopo che si è lavato e asciugato e vestito, è uscito con suo padre "per fare la spesa". Poi ha mangiato il riso col brodo e il cappone.
    "E così ho passato il Santo Natale".


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    da "PER LORO NON C'ERA POSTO"
    di Lorenzo Milani




    È venuto Roberto oggi a riguardarmi il fornello.
    E uno di quelli che stanno nella villa. è tanto buono.
    Pensa che con tutto il male che ha avuto (cinque mesi a letto, ma la Mutua, lo sai, ne conosce tre soli), e ancora non sta bene, ha fatto una cosa bella che a raccontarla mi vien da piangere.
    Di suo ha tre bambine piccole.
    Ora gli è morta una sorella lasciando sei bimbi senza babbo.
    Sai cosa ha fatto lui coi suoi fratelli?
    Non han voluto che andassero in collegio, se li son spartiti.
    Lui s'è preso due femmine (il maschietto l'avrebbe preso volentieri, ma come faceva a metterlo a letto colle bambine!).
    Insomma ora son cinque bocche da sfamare e sei colla moglie.
    Tirerà gli assegni per tutte. L'han detto alla Previdenza (ma ci vorrà sei mesi per aver risposta da Roma se non ha conoscenze).
    Saranno 48 lire per persona: mezzo chilo di pane...
    Non importa, ci penserà il Buon Dio.
    La vecchia villa ora fa luce anche di notte, da quanto l'hai benedetta, Signore!


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    Merlino
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    00 01/12/2009 12:55




    I FIGLI DI BABBO NATALE

    di Italo Calvino




    Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona, per il mondo dell'industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso. L'unico pensiero dei Consigli d'amministrazione adesso è quello di dare gioia al prossimo, mandando doni accompagnati da messaggi d'augurio sia a ditte consorelle che a privati; ogni ditta si sente in dovere di comprare un grande stock di prodotti da una seconda ditta per fare i suoi regali alle altre ditte; le quali ditte a loro volta comprano da una ditta altri stock di regali per le altre; le finestre aziendali restano illuminate fino a tardi, specialmente quelle del magazzino, dove il personale continua le ore straordinarie a imballare pacchi e casse; al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s'inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po' abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino dànno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d'affari le grevi contese d'interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale.
    Alla Sbav quell'anno l'Ufficio Relazioni Pubbliche propose che alle persone di maggior riguardo le strenne fossero recapitate a domicilio da un uomo vestito da Babbo Natale.
    L'idea suscitò l'approvazione unanime dei dirigenti. Fu comprata un'acconciatura da Babbo Natale completa: barba bianca, berretto e pastrano rossi bordati di pelliccia, stivaloni. Si cominciò a provare a quale dei fattorini andava meglio, ma uno era troppo basso di statura e la barba gli toccava per terra, uno era troppo robusto e non gli entrava il cappotto, un altro troppo giovane, un altro invece troppo vecchio e non valeva la pena di truccarlo.
    Mentre il capo dell'Ufficio Personale faceva chiamare altri possibili Babbi Natali dai vari reparti, i dirigenti radunati cercavano di sviluppare l'idea: l'Ufficio Relazioni Umane voleva che anche il pacco-strenna alle maestranze fosse consegnato da Babbo Natale in una cerimonia collettiva; l'Ufficio Commerciale voleva fargli fare anche un giro dei negozi; l'Ufficio Pubblicità si preoccupava che facesse risaltare il nome della ditta, magari reggendo appesi a un filo quattro palloncini con le lettere S, B, A, V.
    Tutti erano presi dall'atmosfera alacre e cordiale che si espandeva per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri; e questo, questo soprattutto - come ci ricorda il suono, firulí firulí, delle zampogne -, è ciò che conta.
    In magazzino, il bene - materiale e spirituale - passava per le mani di Marcovaldo in quanto merce da caricare e scaricare. E non solo caricando e scaricando egli prendeva parte alla festa generale, ma anche pensando che in fondo a quel labirinto di centinaia di migliaia di pacchi lo attendeva un pacco solo suo, preparatogli dall'Ufficio Relazioni Umane; e ancora di più facendo il conto di quanto gli spettava a fine mese tra " tredicesima mensilità " e " ore straordinarie ". Con qui soldi, avrebbe potuto correre anche lui per i negozi, a comprare comprare comprare per regalare regalare regalare, come imponevano i più sinceri sentimenti suoi e gli interessi generali dell'industria e del commercio.
    Il capo dell’Ufficio Personale entrò in magazzino con una barba finta in mano: - Ehi, tu! - disse a Marcovaldo. - Prova un po' come stai con questa barba. Benissimo! Il Natale sei tu. Vieni di sopra, spicciati. Avrai un premio speciale se farai cinquanta consegne a domicilio al giorno.
    Marcovaldo camuffato da Babbo Natale percorreva la città, sulla sella del motofurgoncino carico di pacchi involti in carta variopinta, legati con bei nastri e adorni di rametti di vischio e d'agrifoglio. La barba d'ovatta bianca gli faceva un po’ di pizzicorino ma serviva a proteggergli la gola dall'aria.
    La prima corsa la fece a casa sua, perché non resisteva alla tentazione di fare una sorpresa ai suoi bambini. " Dapprincipio, - pensava, non mi riconosceranno. Chissà come rideranno, dopo! "
    I bambini stavano giocando per la scala. Si voltarono appena. - Ciao papà.
    Marcovaldo ci rimase male. -Mah... Non vedete come sono vestito?
    - E come vuoi essere vestito? - disse Pietruccio. - Da Babbo Natale, no?
    - E m'avete riconosciuto subito?
    - Ci vuol tanto! Abbiamo riconosciuto anche il signor Sigismondo che era truccato meglio di te!
    - E il cognato della portinaia!
    - E il padre dei gemelli che stanno di fronte!
    - E lo zio di Ernestina quella con le trecce!
    - Tutti vestiti da Babbo Natale? - chiese Marcovaldo, e la delusione nella sua voce non era soltanto per la mancata sorpresa familiare, ma perché sentiva in qualche modo colpito il prestigio aziendale.
    - Certo, tal quale come te, uffa, - risposero i bambini, - da Babbo Natale, al solito, con la barba finta, - e voltandogli le spalle, si rimisero a badare ai loro giochi.
    Era capitato che agli Uffici Relazioni Pubbliche di molte ditte era venuta contemporaneamente la stessa idea; e avevano reclutato una gran quantità di persone, per lo più disoccupati, pensionati, ambulanti, per vestirli col pastrano rosso e la barba di bambagia. I bambini dopo essersi divertiti le prime volte a riconoscere sotto quella mascheratura conoscenti e persone del quartiere, dopo un po' ci avevano fatto l'abitudine e non ci badavano più.
    Si sarebbe detto che il gioco cui erano intenti li appassionasse molto. S'erano radunati su un pianerottolo, seduti in cerchio. - Si può sapere cosa state complottando? - chiese Marcovaldo.
    - Lasciaci in pace, papà, dobbiamo preparare i regali.
    - Regali per chi?
    - Per un bambino povero. Dobbiamo cercare un bambino povero e fargli dei regali.
    - Ma chi ve l'ha detto?
    - C'è nel libro di lettura.
    Marcovaldo stava per dire: " Siete voi i bambini poveri! ", ma durante quella settimana s'era talmente persuaso a considerarsi un abitante del Paese della Cuccagna, dove tutti compravano e se la godevano e si facevano regali, che non gli pareva buona educazione parlare di povertà, e preferì dichiarare: - Bambini poveri non ne esistono più!
    S'alzò Michelino e chiese: - È per questo, papà, che non ci porti regali?
    Marcovaldo si sentí stringere il cuore. - Ora devo guadagnare degli straordinari, - disse in fretta, - e poi ve li porto.
    - Li guadagni come? - chiese Filippetto.
    - Portando dei regali, - fece Marcovaldo.
    - A noi?
    - No, ad altri.
    - Perché non a noi? Faresti prima..
    Marcovaldo cercò di spiegare: - Perché io non sono mica il Babbo Natale delle Relazioni Umane: io sono il Babbo Natale delle Relazioni Pubbliche. Avete capito?
    - No.
    - Pazienza -. Ma siccome voleva in qualche modo farsi perdonare d'esser venuto a mani vuote, pensò di prendersi Michelino e portarselo dietro nel suo giro di consegne. - Se stai buono puoi venire a vedere tuo padre che porta i regali alla gente, - disse, inforcando la sella del motofurgoncino.
    - Andiamo, forse troverò un bambino povero, - disse Michelino e saltò su, aggrappandosi alle spalle del padre.
    Per le vie della città Marcovaldo non faceva che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofurgoncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all'automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un'aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell'enorme macchinario delle Feste.
    E Marcovaldo, tal quale come loro, correva da un indirizzo all'altro segnato sull'elenco, scendeva di sella, smistava i pacchi del furgoncino, ne prendeva uno, lo presentava a chi apriva la porta scandendo la frase:
    - La Sbav augura Buon Natale e felice anno nuovo,- e prendeva la mancia.
    Questa mancia poteva essere anche ragguardevole e Marcovaldo avrebbe potuto dirsi soddisfatto, ma qualcosa gli mancava. Ogni volta, prima di suonare a una porta, seguito da Michelino, pregustava la meraviglia di chi aprendo si sarebbe visto davanti Babbo Natale in persona; si aspettava feste, curiosità, gratitudine. E ogni volta era accolto come il postino che porta il giornale tutti i giorni.
    Suonò alla porta di una casa lussuosa. Aperse una governante. - Uh, ancora un altro pacco, da chi viene?
    - La Sbav augura...
    - Be', portate qua, - e precedette il Babbo Natale per un corridoio tutto arazzi, tappeti e vasi di maiolica. Michelino, con tanto d'occhi, andava dietro al padre.
    La governante aperse una porta a vetri. Entrarono in una sala dal soffitto alto alto, tanto che ci stava dentro un grande abete. Era un albero di Natale illuminato da bolle di vetro di tutti i colori, e ai suoi rami erano appesi regali e dolci di tutte le fogge. Al soffitto erano pesanti lampadari di cristallo, e i rami più alti dell'abete s'impigliavano nei pendagli scintillanti. Sopra un gran tavolo erano disposte cristallerie, argenterie, scatole di canditi e cassette di bottiglie. I giocattoli, sparsi su di un grande tappeto, erano tanti come in un negozio di giocattoli, soprattutto complicati congegni elettronici e modelli di astronavi. Su quel tappeto, in un angolo sgombro, c'era un bambino, sdraiato bocconi, di circa nove anni, con un'aria imbronciata e annoiata. Sfogliava un libro illustrato, come se tutto quel che era li intorno non lo riguardasse.
    - Gianfranco, su, Gianfranco, - disse la governante, - hai visto che è tornato Babbo Natale con un altro regalo?
    - Trecentododici, - sospirò il bambino - senz'alzare gli occhi dal libro. - Metta lí.
    - È il trecentododicesimo regalo che arriva, - disse la governante. - Gianfranco è cosí bravo, tiene il conto, non ne perde uno, la sua gran passione è contare.
    In punta di piedi Marcovaldo e Michelino lasciarono la casa.
    - Papà, quel bambino è un bambino povero? - chiese Michelino.
    Marcovaldo era intento a riordinare il carico del furgoncino e non rispose subito. Ma dopo un momento, s'affrettò a protestare: - Povero? Che dici? Sai chi è suo padre? È il presidente dell'Unione Incremento Vendite Natalizie! Il commendator...
    S'interruppe, perché non vedeva Michelino. Michelino, Michelino! Dove sei? Era sparito.
    " Sta’ a vedere che ha visto passare un altro Babbo Natale, l'ha scambiato per me e gli è andato dietro... " Marcovaldo continuò il suo giro, ma era un po' in pensiero e non vedeva l'ora di tornare a casa.
    A casa, ritrovò Michelino insieme ai suoi fratelli, buono buono.
    - Di' un po', tu: dove t'eri cacciato?
    - A casa, a prendere i regali... Si, i regali per quel bambino povero...
    - Eh! Chi?
    - Quello che se ne stava cosi triste.. - quello della villa con l'albero di Natale...
    - A lui? Ma che regali potevi fargli, tu a lui?
    - Oh, li avevamo preparati bene... tre regali, involti in carta argentata.
    Intervennero i fratellini. Siamo andati tutti insieme a portarglieli! Avessi visto come era contento!
    - Figuriamoci! - disse Marcovaldo. - Aveva proprio bisogno dei vostri regali, per essere contento!
    - Sí, sí dei nostri... È corso subito a strappare la carta per vedere cos'erano...
    - E cos'erano?
    - Il primo era un martello: quel martello grosso, tondo, di legno...
    - E lui?
    - Saltava dalla gioia! L'ha afferrato e ha cominciato a usarlo!
    - Come?
    - Ha spaccato tutti i giocattoli! E tutta la cristalleria! Poi ha preso il secondo regalo...
    - Cos'era?
    - Un tirasassi. Dovevi vederlo, che contentezza... Ha fracassato tutte le bolle di vetro dell'albero di Natale. Poi è passato ai lampadari...
    - Basta, basta, non voglio più sentire! E... il terzo regalo?
    - Non avevamo più niente da regalare, cosi abbiamo involto nella carta argentata un pacchetto di fiammiferi da cucina. È stato il regalo che l'ha fatto più felice. Diceva: " I fiammiferi non me li lasciano mai toccare! " Ha cominciato ad accenderli, e...
    -E...?
    - …ha dato fuoco a tutto!
    Marcovaldo aveva le mani nei capelli. - Sono rovinato!
    L'indomani, presentandosi in ditta, sentiva addensarsi la tempesta. Si rivesti da Babbo Natale, in fretta in fretta, caricò sul furgoncino i pacchi da consegnare, già meravigliato che nessuno gli avesse ancora detto niente, quando vide venire verso di lui tre capiufficio, quello delle Relazioni Pubbliche, quello della Pubblicità e quello dell'Ufficio Commerciale.
    - Alt! - gli dissero, - scaricare tutto; subito!
    " Ci siamo! " si disse Marcovaldo e già si vedeva licenziato.
    - Presto! Bisogna sostituire i pacchi! - dissero i Capiufficio. - L'Unione Incremento Vendite Natalizie ha aperto una campagna per il lancio del Regalo Distruttivo!
    - Cosi tutt'a un tratto... - commentò uno di loro. Avrebbero potuto pensarci prima...
    - È stata una scoperta improvvisa del presidente, - spiegò un altro. - Pare che il suo bambino abbia ricevuto degli articoli-regalo modernissimi, credo giapponesi, e per la prima volta lo si è visto divertirsi...
    - Quel che più conta, - aggiunse il terzo, - è che il Regalo Distruttivo serve a distruggere articoli d'ogni genere: quel che ci vuole per accelerare il ritmo dei consumi e ridare vivacità al mercato... Tutto in un tempo brevissimo e alla portata d'un bambino... Il presidente dell'Unione ha visto aprirsi un nuovo orizzonte, è ai sette cieli dell'entusiasmo...
    - Ma questo bambino, - chiese Marcovaldo con un filo di voce, - ha distrutto veramente molta roba?
    - Fare un calcolo, sia pur approssimativo, è difficile, dato che la casa è incendiata...
    Marcovaldo tornò nella via illuminata come fosse notte, affollata di mamme e bambini e zii e nonni e pacchi e palloni e cavalli a dondolo e alberi di Natale e Babbi Natale e polli e tacchini e panettoni e bottiglie e zampognari e spazzacamini e venditrici di caldarroste che facevano saltare padellate di castagne sul tondo fornello nero ardente.
    E la città sembrava più piccola, raccolta in un'ampolla luminosa, sepolta nel cuore buio d'un bosco, tra i tronchi centenari dei castagni e un infinito manto di neve. Da qualche parte del buio s'udiva l'ululo del lupo; i leprotti avevano una tana sepolta nella neve, nella calda terra rossa sotto uno strato di ricci di castagna.
    Usci un leprotto, bianco, sulla neve, mosse le orecchie, corse sotto la luna, ma era bianco e non lo si vedeva, come se non ci fosse. Solo le zampette lasciavano un'impronta leggera sulla neve, come foglioline di trifoglio. Neanche il lupo si vedeva, perché era nero e stava nel buio nero del bosco. Solo se apriva la bocca, si vedevano i denti bianchi e aguzzi.
    C'era una linea in cui finiva il bosco tutto nero e cominciava la neve tutta bianca. Il leprotto correva di qua ed il lupo di là.
    Il lupo vedeva sulla neve le impronte del leprotto e le inseguiva, ma tenendosi sempre sul nero, per non essere visto. Nel punto in cui le impronte si fermavano doveva esserci il leprotto, e il lupo usci dal nero, spalancò la gola rossa e i denti aguzzi, e morse il vento.
    Il leprotto era poco più in là, invisibile; si strofinò un orecchio con una zampa, e scappò saltando.
    È qua? È là? no, è un po' più in là?
    Si vedeva solo la distesa di neve bianca come questa pagina.
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    00 01/12/2009 12:57


    UN NATALE DELL'ANNO 5325

    di Bartolomeo Di Monaco




    Marzia era stufa di trascorrere il Natale sempre allo stesso modo.
    Lo aveva confidato a Lazzaro, suo marito, il quale però n'era rimasto dispiaciuto.
    Egli trovava stimolante, infatti, rinnovare tutti gli anni l'antica tradizione dell'albero e del presepio. Con i suoi ragazzi passava straordinarie ore in allegria quando tutti assieme caricavano i rami di neve e di palline colorate.
    Quest'ultime, muovendosi da sole, mutavano continuamente posizione e colore con spostamenti lenti, sempre accompagnati da una dolce musica; e così anche la neve, una volta posati i fiocchi sull'albero, si alzava al soffitto da sola e lievemente precipitava ad imbiancare i rami con intermittenze regolari e suggestive.
    Contemplava quei giochi di colori sempre a bocca aperta.
    I figli ogni anno facevano addirittura a gara per escogitare combinazioni nuove e divertenti.
    Anche il presepio subiva di anno in anno continui rinnovamenti.
    La mucca e l'asinello prima della mezzanotte di Natale se ne andavano in giro per la stalla e solo allo scoccare dell'ora mirabile si sdraiavano intorno alla culla a riscaldare Gesù bambino. I pastori suonavano i loro zufoli; belavano le pecore mentre si avvicinavano alla mangiatoia.
    La cometa poi compariva nel cielo già qualche giorno prima, e da sola lentamente si spostava in direzione della grotta, dove si fermava a risplendere in tutto il suo fulgore proprio nel momento che dalla chiesa vicina si levava festoso il suono delle campane.
    Che cosa c'era di più bello che attendere così tutti insieme sotto l'albero e davanti al presepio il Santo Natale?
    Ancora si celebrava in inverno il Natale, ma la stagione non era più così fredda come lo era stata tanti secoli prima. Sui libri avevano letto che nel periodo natalizio, soprattutto sulle montagne e qualche volta anche nelle città dell'Italia settentrionale, cadeva la neve e tutto il paesaggio si faceva suggestivo. Anche al Sud c'era stato un periodo che nevicava come al Nord e i graziosi paesini abbarbicati sulle montagne a picco sul mare si coloravano di bianco e parevano usciti dalle fiabe.
    Ora invece la neve non cadeva più in Italia da qualche secolo; il clima si era fatto più mite anche nella stagione invernale e c'erano poche differenze tra l'estate e l'inverno, anche se l'ultima stagione dell'anno restava sempre la più fredda.
    La neve bisognava andarla a cercare lontano, vicino ai Poli. Soltanto lì la si poteva ammirare. Appena al di sotto delle calotte polari già non la si incontrava più.
    Marzia aveva nostalgia di quei tempi passati, e tutte le volte che aiutava i suoi a fare l'albero e il presepio, quando arrivava il momento di mettere i fiocchi di neve sui rami o sui monti di cartapesta, sentiva dentro di sé scuoterla un brivido sottile.
    Come doveva essere bello vedere nella notte di Natale scendere dal cielo la bianca neve, e i campi, i tetti delle case, le strade coprirsi del morbido manto!
    Quando arrivava questo periodo spesso ripescava nella sua videoteca vecchi documentari sui secoli passati, alcuni acquistati direttamente da lei, altri invece ricevuti in dono dai genitori, che a loro volta li avevano ereditati dai nonni e così via.
    Aveva dei filmati che risalivano addirittura agli ultimi secoli del terzo millennio. Conservava ancora un bel film sul Natale, girato nel 2727 da un suo antenato, in cui si vedeva cadere la neve! Marzia lo guardava continuamente quando sentiva salire dentro di sé l'atmosfera dolce del Natale.
    Era invece stanca di una vita che in generale non riservava grandi emozioni.
    Anche trascorrere il Natale sempre allo stesso modo, era arrivata al punto che si annoiava.
    Quando leggeva sui libri oppure vedeva in qualche vecchio filmato tutto quel caos ricco di vitalità e di umore che animava i millenni passati, non poteva non raffrontarli al suo presente, che invece non aveva scossoni, era lineare, piatto, ordinato; tutto vi scorreva previsto, nessun avvenimento inatteso poteva accadere nella giornata.
    E sì che di tempo per dedicarsi allo svago e al divertimento ne avevano in gran quantità!
    La vita infatti si era allungata enormemente, ma non solo, una ragazza restava giovanissima fino ai 100 anni e se era un po' fortunata poteva restare così anche fino ai 130. Solo verso i 150 cominciava ad apparire sotto gli occhi qualche piccola ruga.
    Ma praticamente la vecchiaia non esisteva. Dopo i 150 anni di solito sopraggiungeva la morte, che non era mai improvvisa, bensì annunciata da specialissime microcellule di cui era dotato il corpo umano.
    Si moriva preparati, sazi, tutto sommato soddisfatti della vita.
    Solo qualche animo sensibile, come quello di Marzia, poteva avere qualche rimpianto per un'esistenza diversa. Ma erano rarissimi questi casi.
    La vita scorreva quasi tutta dentro una giovinezza del corpo gagliarda, esuberante, vivace. Che cosa si voleva di più?
    Si erano infatti accorciati, quasi scomparsi, proprio i periodi estremi della vita: l'infanzia e la vecchiaia.
    Non esistevano più le malattie e il corpo sapeva reagire da solo allorché un nuovo virus o un microbo sconosciuto si insinuava nell'organismo. Non saliva nemmeno la febbre quando il corpo lottava contro l'intruso!
    Marzia abitava in campagna nella immediata periferia di Lucca.
    A volte, quando era stufa di restare sempre nello stesso luogo, poteva spostare la sua piccola casa ed avvicinarsi di più alla città, oppure trasferirsi per qualche tempo sul fiume, o più lontano ancora in qualche angolo appartato, quieto.
    Stare in casa era quasi come stare all'aperto.
    Tutto vi era progettato per esaudire ogni desiderio, e i muri perimetrali erano fabbricati addirittura con uno speciale materiale che ora diventava trasparente, ora perfino svaniva e permetteva di stare a contatto con l'esterno, ora si iscuriva e consentiva di rinchiudersi dentro la propria intimità.
    Spesso le stanze dove i suoi figli studiavano erano direttamente a contatto con l'aria aperta. Azionavano un minuscolo pulsante posto proprio sulla scrivania e zac, la parete si dissolveva e subito entrava l'aria fresca della campagna.
    Per spostare in altro luogo invece la casa occorreva il consenso di tutti; e Lazzaro era il più restio a fare questo tipo di cambiamento. Gli piaceva la campagna e tutte le volte che Marzia gli proponeva di entrare dentro le mura di Lucca, lui storceva la bocca.
    «Ma perché, se qui si sta così bene? Perché vuoi andarti a ficcare in mezzo a quella confusione?»
    Marzia adduceva però le ragioni della donna che deve fare certe compere e ha bisogno di stare sul posto per meglio scoprire e scegliere le novità della stagione. Ma Lazzaro non si lasciava convincere tanto facilmente.
    «Puoi andare con l'aerobici e mettere gli acquisti dentro il cesto! In un attimo vai e torni. Oppure puoi anche fare "un volo" da sola se vuoi soltanto osservare, e quando avrai deciso le compere veniamo tutti insieme a caricare i tuoi acquisti.»
    Allora Marzia per non inquietare Lazzaro qualche volta lasciava la casa lì dov'era, rinunciava allo spostamento, e faceva un sopralluogo volando direttamente in città.
    Del resto anche le altre donne di solito prima andavano da sole e solo più tardi, completato il giro delle visite, tornavano con l'aerobici e qualche volta anche con l'aeromobile a fare il carico.
    Volare era così bello e così naturale! Bastava distendere lateralmente le braccia, applicare sotto le ascelle due minuscole macchinette, piccole come un bottone, fare un leggero balzo in avanti, accompagnato da una simultanea spinta delle braccia, e subito il corpo si levava in alto, rapidamente raggiungeva l'altezza desiderata.
    Quando decideva di volare, Marzia lo faceva sempre a quote altissime; voleva vedere sotto di sé il mondo piccino piccino. Solo quando andava coi figli, allora fingeva di essere molto prudente e sconsigliava i ragazzi di volare a quelle altezze pericolose.
    Ma i figli conoscevano la verità e anch'essi, quando erano soli, facevano tale e quale alla mamma.
    Marzia ebbe così per quel Natale un'idea.
    Ne parlò prima coi figli e, una volta ottenuto il consenso, confidò il suo progetto anche a Lazzaro.
    Ne rimase sbigottito.
    «Ma non è possibile!» esclamò subito. «Che cosa dirà la gente? Saremo sulla bocca di tutti!»
    «Fammi contenta» lo supplicò Marzia.
    Lazzaro non si lasciava convincere. Radunò tutta la famiglia intorno al tavolo e spiegò che nessuno fino a quel momento si era mai sognato di invitare al pranzo di Natale gli abitanti degli altri pianeti.
    Che cosa avrebbero detto i lucchesi?
    Qualche extraterrestre per la verità di quando in quando capitava anche a Lucca.
    Arrivavano in gruppo sui loro magnifici aeromobili. Atterravano fuori delle Mura e quasi sempre attraverso la vecchia porta San Donato facevano il loro ingresso in città. Giravano dovunque, ma specialmente visitavano i bei negozi di via Fillungo. Lì facevano numerosi acquisti. Quando entravano loro, praticamente svuotavano il negozio, si portavano via ogni cosa. Dicevano che nel loro pianeta i prodotti terrestri, ma specialmente quelli italiani, erano i più desiderati. Le loro donne andavano matte per le graziose tute e i gonnellini colorati che si fabbricavano a Lucca.
    Erano straricchi e non badavano a spese. I commessi, quando li vedevano entrare, spesso trascuravano i vecchi clienti per correre a servirli.
    Erano però bruttini assai, per non dire orripilanti.
    La loro eccezionale bruttezza era però accompagnata da una squisita cortesia e da un grado di intelligenza sicuramente fuori dell'ordinario.
    Però solo per queste spese che facevano erano tollerati in città, ed era così anche in qualsiasi altra parte del globo.
    Stare con loro, specialmente doverli guardare, osservare quegli strani occhi tentacolari, quel muso largo senza naso e senza bocca, quelle braccine corte e sottili, quelle gambe che avevano solo i piedi che spuntavano alla fine del tronco, non era assolutamente piacevole. Si avvertiva un certo fastidio, piombava nell'animo una profonda malinconia al pensiero che Dio aveva messo al mondo, insieme con la bellezza dell'essere umano, quella bruttezza che non aveva paragoni.
    Fatti gli acquisti, quindi, era esaurito anche il contatto con l'uomo.
    Essi lo sapevano e quando uscivano dai negozi, dopo aver passeggiato in silenzio per la bella città, tornavano fuori delle Mura e partivano. Si vedeva nel cielo da ogni punto della città levarsi la scia luminosa del loro potente aeromobile.
    Marzia voleva invece per quel Natale stare con loro, azzardare un contatto che nessuno aveva mai seriamente ricercato.
    «Ma come pensi di invitarli? Mancano solo due giorni al Natale. Eppoi sei proprio certa che verranno e che desiderino davvero stare con noi?»
    Marzia aveva pronto già tutto. Lazzaro non sapeva come avesse potuto fare, ma la sua Marzia era riuscita a conoscere il codice di quegli extraterrestri.
    Aspettava solo il consenso di Lazzaro per lanciare nell'etere quei numeri.
    Il sistema era davvero elementare. Immessi nello spazio i codici dei vari pianeti, bastava far seguire semplicemente il messaggio a voce.
    I figli si radunarono intorno alla mamma quando arrivò il momento magico.
    Marzia trepidava, la sua voce uscì dalla gola emozionata, quasi balbettante.
    Lazzaro le aveva messo un braccio intorno al collo e si era chinato a baciarla per farle coraggio.
    Lanciò ben cinque inviti ad altrettanti pianeti!
    Al termine tirò un sospiro di sollievo, come se avesse spostato una montagna.
    La vigilia di Natale trascorse colma di emozioni.
    Ogni rumore che sentivano fuori di casa, ogni sibilo di vento, i passi dei ragazzi per le stanze, tutto li metteva in agitazione, come se quegli ospiti straordinari stessero davvero arrivando.
    Lazzaro era il più scettico di tutti e raccomandava ai ragazzi di non raccontare niente in giro.
    «Non verranno. Sono troppo intelligenti per non capire che non sono realmente graditi. Li abbiamo sempre emarginati e loro lo sanno bene.»
    A mezzanotte, durante la Messa solenne, Marzia chiese una grazia a Gesù bambino, e anche i figli in segreto pregarono perché quel loro desiderio di stringere amicizia con gli extraterrestri si avverasse.
    L'universo sarebbe diventato più bello, più caldo, più accogliente, più vicino, più conosciuto, se tra i pianeti così diversi e lontani si fosse potuto più facilmente e con più amore comunicare.
    Marzia era questo che voleva, ed ora lo volevano con tutto il cuore anche i suoi figli e il suo adoratissimo Lazzaro.
    Fu il mattino dopo, poco prima di andare a tavola, proprio pochi minuti prima che Lazzaro invitasse i suoi a non illudersi più, a non attendere quegli ospiti, che qualcuno suonò alla porta.
    A Marzia si illuminarono gli occhi.
    Di corsa, seguita dai figli, andò all'uscio e lo spalancò. Ancor prima di vederli, ancor prima di udire il loro saluto, già aveva allargato le braccia per stringerli assieme in un grande, calorosissimo abbraccio.


    [SM=x2039724]

    LUCE, PACE, AMORE

    di L. Housman


    La pace guardò in basso
    e vide la guerra,
    "Là voglio andare" disse la pace.

    L'amore guardò in basso
    e vide l'odio,
    "Là voglio andare" disse l'amore.

    La luce guardò in basso
    e vide il buio,
    "Là voglio andare" disse la luce.

    Così apparve la luce
    e risplendette.

    Così apparve la pace
    e offrì riposo.

    Così apparve l'amore
    e portò vita.

    [SM=x2039724]


    QUELLA VOLTA CHE BABBO NATALE NON SI SVEGLIÒ IN TEMPO

    di Thomas Matthaeus Muller




    Hubert, l'anziano Babbo Natale, saltò giù dal letto: accipicchia, non si era svegliato in tempo!

    Era già la vigilia di Natale, e non c'era ancora nulla di pronto, nemmeno un pacchettino! Dappertutto sul pavimento erano sparse in disordine le molte letterine di Natale che il postino aveva fatto passare attraverso una fessura della porta.

    Quasi contemporaneamente qualcuno busso alla porta e la renna Max, fedele assistente di Hubert, entro puntuale come ogni anno. "E che cosa faccio adesso?" si lamento Hubert. "La sveglia non ha suonato!" "Chiedi a Otto, il mago, se può fermare il tempo, cosi tu potresti procurarti ancora tutti i regali", suggerì la renna Max.

    "Otto sa soltanto far apparire conigli dal cilindro!" brontolo arrabbiato Hubert. "E per di più soltanto bianchi!" "Allora portiamoci dietro la cassa dei travestimenti", disse la renna Max. La cassa dei travestimenti era un baule enorme e pesante, piena di vecchi costumi, fazzoletti colorati, cappelli, scarpe e scialli che Hubert, anni prima, aveva ricevuto in regalo da una compagnia teatrale.

    Quando la caricarono sulla slitta questa si ruppe nel mezzo. "E adesso che faccio?" si lamento Hubert. "Portiamola a mano." sbuffo la renna Max, si sfrego gli zoccoli prima di mettersi al lavoro e trasportarono la cassa cosi per tutta la strada fino in città... per fortuna era in discesa. Tutti i bambini stavano già aspettando con ansia i regali di Natale.

    Ma quell'anno Hubert e Max, al posto dei regali, fecero una divertente rappresentazione teatrale. E non ebbero niente in contrario quando, uno dopo l'altro, i bambini si misero anch'essi a recitare. Si narrava di un Babbo Natale stanco e arruffato... e l'inizio faceva cosi:

    Hubert, l'anziano Babbo Natale, salto giù dal letto ... accipicchia, non si era svegliato in tempo!


    [SM=x2039724]

    NATALE, UN GIORNO

    di Hirokazu Ogura


    Perché
    dappertutto ci sono cosi tanti recinti?
    In fondo tutto il mondo e un grande recinto.

    Perché
    la gente parla lingue diverse?
    In fondo tutti diciamo le stesse cose.

    Perché
    il colore della pelle non e indifferente?
    In fondo siamo tutti diversi.

    Perché
    gli adulti fanno la guerra?
    Dio certamente non lo vuole.

    Perché
    avvelenano la terra?
    Abbiamo solo quella.

    A Natale - un giorno - gli uomini andranno d’accordo in tutto il mondo.
    Allora ci sarà un enorme albero di Natale con milioni di candele.
    Ognuno ne terrà una in mano, e nessuno riuscirà a vedere l’enorme albero fino alla punta.

    Allora tutti si diranno "Buon Natale!" a Natale, un giorno.
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    L'AGRIFOGLIO

    di Gina Marzetti Noventa




    Il pastorello si sveglia all'improvviso. In cielo v'è una luce nuova: una luce mai vista a quell'ora. Il giovane pastore si spaventa, lascia l'ovile, attraversa il bosco: è nel campo aperto, sotto una bellissima volta celeste. Dall'alto giunge il canto soave degli Angeli.
    - Tanta pace non può venire che di lassù - pensa il pastorello, e sorride tranquillizzato.
    Le pecorine, a sua insaputa, l'hanno seguito e lo guardano stupite.
    Ecco sopraggiungere molta gente e tutti, a passi affrettati, si dirigono verso una grotta.
    - Dove andate? - chiede il pastorello.
    - Non lo sai? - risponde, per tutti, una giovane donna. - È nato il figlio di Dio: è sceso quaggiù per aprirci le porte del Paradiso.
    Il pastorello si unisce alla comitiva: anch'egli vuole vedere il Figlio di Dio. A un tratto, si sente turbato: tutti recano un dono, soltanto lui non ha nulla da portare a Gesù. Triste e sconvolto, ritorna alle sue pecore. Non ha nulla; nemmeno un fiore; che cosa si può donare quando si così poveri?
    Il ragazzo non sa che il dono più gradito a Gesù è il suo piccolo cuore buono.
    Ahi! Tanti spini gli pungono i piedi nudi. Allora il pastorello si ferma, guarda in terra ed esclama meravigliato: - Oh, un arbusto ancor verde!
    È una pianta di agrifoglio, dalle foglie lucide e spinose.
    Il coro di Angeli sembra avvicinarsi alla terra; c'è tanta festa attorno. Come si può resistere al desiderio di correre dal Santo Bambino anche se non si ha nulla da offrire?
    Ebbene, il pastorello andrà alla divina capanna; un ramo d'agrifoglio sarà il suo omaggio.
    Eccolo alla grotta. Si avvicina felice e confuso al bambino sorridente che sembra aspettarlo.
    Ma che cosa avviene? Le gocce di sangue delle sue mani, ferite dalle spine, si trasformano in rosse palline, che si posano sui verdi rami dell'arbusto che egli ha colto per Gesù.
    Al ritorno, un'altra sorpresa attende il pastorello: nel bosco, tra le lucenti foglie dell'agrifoglio, è tutto un rosseggiare di bacche vermiglie.
    Da quella notte di mistero, l'agrifoglio viene offerto, in segno di augurio, alle persone care.


    [SM=x2039725]

    SPLENDE ANCORA di Santo Parisi


    C’è un albero
    addobbato in casa mia,
    scintillante
    di luci e di colori
    Ma c’è tanto, tanto buio fuori:
    sofferenze, dolori…
    dolori a non finire.
    Ma nella notte fredda
    splende ancora,
    dopo due millenni,
    o mio Signore,
    una cometa
    sulla tua capanna:
    una cometa
    che alla Pace invita,
    una cometa
    che verso te ci guida.

    [SM=x2039725]

    QUANDO VENDETTERO IL NATALE

    di Enrico Maria Ferrari




    Me lo ricordo bene il Natale di quell'anno, io ero ancora un ragazzo ma certe cose non si scordano.

    Come al solito lo Spirito Natalizio arrivò ben presto, mi pare l'11 Novembre quell'anno, annunciato dagli spot del Panettone Bauli che riuscì a fregare sul tempo Motta. Cominciarono quindi i preparativi, i negozianti si affrettarono a spolverare i resti di magazzino per preparare le novità di Natale, le agenzie aumentarono i prezzi delle grandiose offerte sconto per un Natale alle Maldive e le signore ripulirono le loro pellicce ancora imbrattate dal sugo di pomodoro che si erano tirate addosso lo scorso anno per auto-protesta contro l'"inutile strage", molte macchie non andavano via ma pazienza, si trattava di indossarle fino al 7 gennaio, data in cui avevano deciso di auto-protestare buttandosi addosso del sugo di pomodoro.

    Tutti indistintamente proclamarono di voler fare regali intelligenti e utili e difatti aumentarono a dismisura la vendita di spremi-cipolle elettronici e di rasoi per i peli del naso. Un'abile campagna pubblicitaria convinse milioni di italiani che era indispensabile comprare Linda, la perfetta spazzola per lavare un cavallo. In famiglia lo zio Ernesto si confuse molto e credendo di comprare una cosa intelligente prese l'ultimo libro di Sgarbi.

    Arrivarono i poveri zampognari per suonare nelle vie del centro e raccogliere qualche elemosina, i più perfidi estorcevano i soldi con ricatti musicali:" O mi dai mille lire o ti suono Toto Cotugno". Alla sera facevano ritorno alle loro povere case e in effetti a quell'ora si notava sempre un aumento del traffico di Mercedes.

    L'imperativo era:" essere più buoni" e tutti fummo molto buoni. Gli automobilisti si scambiavano insulti su cartoncini colorati e i tifosi allo stadio si picchiavano cantando "Santo Natale", gli scippatori lasciavano un fiore alle signore derubate.

    Innumerevoli come al solito le cene di beneficenza e i poveri andarono a ruba, tutti se li accaparravano a suon di milioni e fino al 26 non se ne riuscì a trovarne più uno.

    Per amore dell'ecologia non si comprò più l'albero di Natale, al suo posto se ne costruiva uno di cemento, i più ricchi si facevano costruire il loro albero in giardino da una squadra di operai , di gran moda divenne regalare "Fai da te il tuo albero di Natale" che consisteva in un sacco dell'Italcementi.

    Il Papa invece del solito abete gigantesco fece costruire in Piazza San Pietro una torre panoramica di 30 metri con chiesa rotante in cima.

    Gli italiani si dimostrarono sensibili ai problemi dell'ecologia ed infatti rimase invenduto il tacchino: curiosamente il 28 Dicembre il pollo fu dichiarato specie in estinzione.

    Partì quindi la corsa all'augurio, da fare a voce, per posta ma soprattutto per telefono: il traffico telefonico fu intensissimo, tanto che il 29 Dicembre tutti gli abbonati italiani ricevettero un cartoncino d'argento bordato d'oro sul quale c'era scritto:" LA SIP SENTITAMENTE RINGRAZIA, LE RICORDIAMO LE PROSSIME FESTIVITA' " seguiva un elenco di 52 date con ricorrenze inesistenti.

    Molti preferirono comunque spedire gli auguri per posta, mia madre mandò un cartoncino con scritto "Buon Natale e felice 2015", allegando un fossile e altri regali non deperibili negli anni.

    La sera del 24 ci furono i festeggiamenti di rito, il Papa celebrò la Messa in 56 lingue, gli unici che stettero a sentirle tutte furono i leghisti che sperarono fino all'ultimo di sentirla in milanese. Il Presidente delle Repubblica fece un discorso alla Nazione e disse che s'impegnava personalmente a garantire democrazia e onestà per tutti, i mafiosi brindarono felici.

    Poi il 26 accadde quello che tutti sappiamo: Agnelli annunciò che la campagna promozionale natalizia Fiat era andata così bene che aveva deciso di prolungarla acquistando i diritti sul Natale e proclamandolo festa nazionale ogni due settimane. Dopo le prime incertezze ci adeguammo di buon grado, fa piacere ricevere un regalo ogni quindici giorni, l'unica cosa è che mi sono stufato di dover mangiare il panettone anche il 10 di Agosto.


    [SM=x2039725]

    NATALE

    di Lucia Porfiri


    Si avvicina il Natale,
    nell'aria si respira un profumo di gioia e di amore.
    Se ti guardi intorno non vedrai che serenità!

    Ma...cosa succede?
    Là in quel piccolo paese non c'è gioia!
    C'è solo dolore, gente che soffre, gente che muore...

    E là? Guarda là! C'è solo indifferenza,
    in quel paese alle persone non importa nulla del Natale!
    Troppa gente soffre, troppa gente non sa!

    E' Natale, cerca anche tu di portare pace e amore...
    ...dove ci sono guerra e odio.






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    VANGELO APOCRIFO DELLO PSEUDO-MATTEO


    DIALOGO TRA I MAGI E MARIA
    di Sant'Efrem Siro


    NELLA NOTTE DI NATALE
    di Sant'Ambrogio


    LE DUE NASCITE
    di Sant'Agostino


    INNO PER NATALE
    di San Romano il melode


    IL PRESEPIO DI GRECCIO
    di Tommaso da Celano
    da "VITA PRIMA"


    IL NATALE
    di Jacopo da Varagine
    dalla "LEGENDA AUREA"


    AMOR DE CARITATE
    di Jacopone da Todi


    LAUDA DEL NATALE
    di Anonimo del XIV secolo


    NEL PRESEPIO IL PONESTI
    di Giovanni Dominici


    LAUDA DELLA VERGINE
    di Anonimo del XV secolo


    QUI NON È LOCO UMIL
    di Vittoria Colonna


    CONFORTO DEL MONDO, VIENI!
    Novalis (Friedrich Leopold Von Hardensberg)


    IL NATALE
    di Alessandro Manzoni


    ABBACCHIO, OLIVA E PESCE
    di Giuseppe Gioacchino Belli


    I BUOI
    di Thomas Hardy


    I TRE SANTI MAGI DALL'ORIENTE
    di Heinrich Heine


    da "UN CANTO DI NATALE"
    di Charles Dickens


    LA FESTA DI NATALE
    di Carlo Collodi


    IL NATALE DI MARTIN
    di Leone Tolstoj


    da "PICCOLE DONNE"
    di Louisa May Alcott


    NATALE
    di Enrico Panzacchi


    da "IN RISAIA"
    di Marchesa Colombi (Maria Torriani)


    AI BENEFICIATI
    di Robert Louis Stevenson


    IL NATALE
    di Gandolin (L.A. Vassallo)
    da "LA FAMIGLIA DE TAPPETTI"


    NATALE SULLA TERRA
    di Arthur Rimbaud


    AVE MARIA GRATIA PLENA
    di Oscar Wilde


    LE CIARAMELLE
    di Giovanni Pascoli


    NUTTATA 'E NATALE
    di Salvatore Di Giacomo


    I RE MAGI
    di Gabriele D'Annunzio


    SOGNO DI NATALE
    di Luigi Pirandello


    IL DONO DI NATALE
    di Grazia Deledda


    NELLA STALLA DI BETLEMME
    di Charles Peguy


    CANTO DI NATALE
    di Gilbert Keith Chesterton


    LA NASCITA DI GESÙ
    di Rainer Maria Rilke


    LA NOTTE SANTA
    di Guido Gozzano


    IL VECCHIO NATALE
    di Marino Moretti


    NATALE
    di Giuseppe Ungaretti


    da "PER CHI VIENE"
    di Primo Mazzolari


    UNA STELLA SULLA STRADA DI BETLEMME
    di Boris Pasternak


    CAFFÈ A RAPALLO
    di Eugenio Montale


    IL PASTORE
    di Piero Bargellini


    DIO IN FASCE
    di Federico Garcìa Lorca


    IL PRESEPIO DEI SETTE ANNI
    di Achille Campanile


    IL PRESEPE
    di Salvatore Quasimodo


    RACCONTO DI NATALE
    di Dino Buzzati


    da "QUESTO FREDDO DI BETLEMME LO SENTÌ IL BAMBINO"
    di Alberto Moravia


    LA MANGIATOIA
    di Ai Qing


    NATALE A REGALPETRA
    di Leonardo Sciascia


    da "PER LORO NON C'ERA POSTO"
    di Lorenzo Milani


    I FIGLI DI BABBO NATALE
    di Italo Calvino


    UN NATALE DELL'ANNO 5325
    di Bartolomeo Di Monaco


    LUCE, PACE, AMORE
    di L. Housman


    QUELLA VOLTA CHE BABBO NATALE NON SI SVEGLIÒ IN TEMPO
    di Thomas Matthaeus Muller


    NATALE, UN GIORNO
    di Hirokazu Ogura


    L'AGRIFOGLIO
    di Gina Marzetti Noventa


    SPLENDE ANCORA
    di Santo Parisi


    QUANDO VENDETTERO IL NATALE
    di Enrico Maria Ferrari


    NATALE
    di Lucia Porfiri


    VANGELO APOCRIFO DELLO PSEUDO-MATTEO


    DIALOGO TRA I MAGI E MARIA
    di Sant'Efrem Siro


    NELLA NOTTE DI NATALE
    di Sant'Ambrogio


    LE DUE NASCITE
    di Sant'Agostino


    INNO PER NATALE
    di San Romano il melode


    IL PRESEPIO DI GRECCIO
    di Tommaso da Celano
    da "VITA PRIMA"


    IL NATALE
    di Jacopo da Varagine
    dalla "LEGENDA AUREA"


    AMOR DE CARITATE
    di Jacopone da Todi


    LAUDA DEL NATALE
    di Anonimo del XIV secolo


    NEL PRESEPIO IL PONESTI
    di Giovanni Dominici


    LAUDA DELLA VERGINE
    di Anonimo del XV secolo


    QUI NON È LOCO UMIL
    di Vittoria Colonna


    CONFORTO DEL MONDO, VIENI!
    Novalis (Friedrich Leopold Von Hardensberg)


    IL NATALE
    di Alessandro Manzoni


    ABBACCHIO, OLIVA E PESCE
    di Giuseppe Gioacchino Belli


    I BUOI
    di Thomas Hardy


    I TRE SANTI MAGI DALL'ORIENTE
    di Heinrich Heine


    da "UN CANTO DI NATALE"
    di Charles Dickens


    LA FESTA DI NATALE
    di Carlo Collodi


    IL NATALE DI MARTIN
    di Leone Tolstoj


    da "PICCOLE DONNE"
    di Louisa May Alcott


    NATALE
    di Enrico Panzacchi


    da "IN RISAIA"
    di Marchesa Colombi (Maria Torriani)


    AI BENEFICIATI
    di Robert Louis Stevenson


    IL NATALE
    di Gandolin (L.A. Vassallo)
    da "LA FAMIGLIA DE TAPPETTI"


    NATALE SULLA TERRA
    di Arthur Rimbaud


    AVE MARIA GRATIA PLENA
    di Oscar Wilde


    LE CIARAMELLE
    di Giovanni Pascoli


    NUTTATA 'E NATALE
    di Salvatore Di Giacomo


    I RE MAGI
    di Gabriele D'Annunzio


    SOGNO DI NATALE
    di Luigi Pirandello


    IL DONO DI NATALE
    di Grazia Deledda


    NELLA STALLA DI BETLEMME
    di Charles Peguy


    CANTO DI NATALE
    di Gilbert Keith Chesterton


    LA NASCITA DI GESÙ
    di Rainer Maria Rilke


    LA NOTTE SANTA
    di Guido Gozzano


    IL VECCHIO NATALE
    di Marino Moretti


    NATALE
    di Giuseppe Ungaretti


    da "PER CHI VIENE"
    di Primo Mazzolari


    UNA STELLA SULLA STRADA DI BETLEMME
    di Boris Pasternak


    CAFFÈ A RAPALLO
    di Eugenio Montale


    IL PASTORE
    di Piero Bargellini


    DIO IN FASCE
    di Federico Garcìa Lorca


    IL PRESEPIO DEI SETTE ANNI
    di Achille Campanile


    IL PRESEPE
    di Salvatore Quasimodo


    RACCONTO DI NATALE
    di Dino Buzzati


    da "QUESTO FREDDO DI BETLEMME LO SENTÌ IL BAMBINO"
    di Alberto Moravia


    LA MANGIATOIA
    di Ai Qing


    NATALE A REGALPETRA
    di Leonardo Sciascia


    da "PER LORO NON C'ERA POSTO"
    di Lorenzo Milani


    I FIGLI DI BABBO NATALE
    di Italo Calvino


    UN NATALE DELL'ANNO 5325
    di Bartolomeo Di Monaco


    LUCE, PACE, AMORE
    di L. Housman


    QUELLA VOLTA CHE BABBO NATALE NON SI SVEGLIÒ IN TEMPO
    di Thomas Matthaeus Muller


    NATALE, UN GIORNO
    di Hirokazu Ogura


    L'AGRIFOGLIO
    di Gina Marzetti Noventa


    SPLENDE ANCORA
    di Santo Parisi


    QUANDO VENDETTERO IL NATALE
    di Enrico Maria Ferrari


    NATALE
    di Lucia Porfiri

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