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Mondi dei Misteri

I 25 migliori album usciti nel 1974

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    00 22/02/2024 12:20

    L’ultimo dei Genesis con Peter Gabriel, la splendida bizzarria degli Sparks, il grande affresco sudista di Randy Newman, il proto punk dei New York Dolls, l’ora più buia di Gram Parsons, il lost weekend di Lennon e altre opere uscite in un anno fatto di grandi contrasti e grande musica
    di Francesco Brusco



    In una celebre scena di Aprile, Nanni Moretti attacca l’assenza politica e umana degli allora dirigenti di sinistra all’indomani della tragedia di Otranto del 28 marzo 1997: «Io me li ricordo, negli anni ’70, a Roma, la FGCI, i giovani comunisti romani… stavano tutti i pomeriggi a guardare Happy Days», e chiude con i pollici all’insù.

    Piaccia o meno, Nanni le incoerenze ha sempre saputo coglierle e ricordarle; e di incoerenze è pieno l’anno inaugurato proprio dal debutto della serie tv con Fonzie e i Cunningham, a sua volta contraddittorio segno visivo di una società che tenta di rimuovere il trauma del Vietnam e lo scandalo del Watergate rincorrendo l’epoca d’oro del sogno americano. Il 1974 è un semaforo giallo sulla linea del tempo, all’incrocio tra progresso e restaurazione, piombo e austerity, spionaggi e diritti civili (in Italia è l’anno del referendum sul divorzio e del primo grande convegno nazionale femminista). E cosa c’è di più incoerente della finale mondiale dominata dall’Olanda, ma vinta da Beckenbauer (buonanima) e compagni?

    In campo musicale l’onda lunga della crisi energetica si appresta a bussare alle porte delle case discografiche. Mentre l’eco di Woodstock si affievolisce sempre più, altre onde, di natura sismica, iniziano a scuotere il sottosuolo da un epicentro a cui due anni dopo daranno un nome: punk. È ovvio che siano gli artisti i primi ad avvertire le piccole e grandi contraddizioni serpeggianti nel tessuto socioculturale: non tutti hanno il radar di Nanni Moretti, ma negli album di quell’anno — seppur inconsciamente — i contrasti la fanno da padrone.

    Si è detto a lungo che, per i vini, l’annata 1974 è stata da dimenticare; per i dischi non è così, provare per credere.

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    Court and Spark
    Joni Mitchell

    Gennaio 1974



    “Dicono che da bambina sembravo un po’ selvaggia / Con tutte le mie idee folli / Ma sapevo cosa stava succedendo / sapevo di essere un genio”. Così canta Joni Mitchell in Twisted Dice. La consapevolezza del contrasto non le è mai mancata, né la sapienza per armonizzare le tinte complementari: nell’album che riverbera Blue presagendo Hejira, la brillantezza musicale si stempera nei testi ombrosi e il semaforo, in questo caso, ci invita a sostare al bivio tra folk e jazz. È la splendida incoerenza di un disco che finisce per essere il primo successo pop della cantautrice canadese.

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    Grievous Angel
    Gram Parsons

    Gennaio 1974



    Ha fatto giusto in tempo a terminare le registrazioni, Gram Parsons, prima di andarsene per un’overdose. Si fa presto a dire che l’album è segnato dall’urgenza, sin da quella scaletta approntata con rapidissimo songwriting e ripescaggi di materiale in archivio (Brass Buttons, Hickory Wind — souvenir della sua stagione con i Byrds — e Cash on the Barrelhead dei Louvin Brothers). Ma è proprio questa sensazione di impellenza, di cui In My Hour of Darkness è nadir perfetto, a conferire all’album il suo senso più profondo.

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    Jolene
    Dolly Parton

    Febbraio 1974



    È la segretaria di banca dai capelli rosso fuoco che flirtava con Carl Dean, marito di Dolly, a ispirare il personaggio di Jolene, “beauty beyond compare” al cui cospetto una disperata Parton si trova a implorare in ginocchio: “Ti prego, non portare via il mio uomo”. Un altro contrasto palese, tra la personalità dell’autrice e quella delle sue protagoniste, che nel 1974 iniziano ad apparire problematicamente reazionarie per il coevo movimento femminista. Dopo la versione dei White Stripes, nel recentissimo passato il brano che dà il titolo all’album è tornato in voga, complici — manco a dirlo — i Måneskin, chiamati in studio dalla Parton per un remake del pezzo. Un feat a cinquant’anni dall’originale non può che accentuarne ulteriormente l’anacronismo; ma anche per questo, oltre che per la grande musica (contiene anche I Will Always Love You, poi riportata al successo da Whitney Houston), l’album merita di essere ricordato come uno dei tanti segni discordanti del suo tempo.

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    Burn
    Deep Purple

    Febbraio 1974



    Ritchie Blackmore suggella la sua tirannide dopo la defenestrazione di Ian Gillan e Roger Glover. Con la Mark II in esilio, Re Riccardo chiama a sé i giovani Glenn Hughes e David Coverdale, suoi scudieri nella ricerca del Santo Graal (ossia, il sound grezzo cristallizzato da In Rock). Ci si perdonerà l’abusato vocabolario medievaleggiante, ma è difficile resistervi quando si parla del Blackmore di metà anni ’70 (del Novecento), piantato lì con un piede nel metal e uno nel rinascimento albionico. Condizione lampante nella giustapposizione di potentissimi riff e classicissime progressioni nell’omonimo brano d’apertura di quello che è l’ultimo grande album dei Deep Purple.

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    Kiss
    Kiss

    Febbraio 1974



    «You wanted the best! You’ve got the best! The hottest band in the world!». Così urlano Simmons e Stanley all’inizio di ogni concerto. E in quegli anni lo saranno davvero, la band più calda del mondo. A dispetto, o per merito, del travaglio di un gruppo alla prova dell’esordio, che contro ogni evidenza rinasce dalle ceneri dei Wicked Lester prendendo a modello i Fab Four, nel paradossale desiderio di raggruppare quattro personalità distinte dal punto di vista psicologico e artistico ma trainate con fermezza dalla coppia al comando. È questo il motore dell’eponimo LP di debutto e dei successivi classici (almeno fino a Destroyer, 1976).

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    Pretzel Logic
    Steely Dan

    Febbraio 1974



    Un altro grande duumvirato, quello formato da Donald Fagen e Walter Becker. Un altro disco a cavallo della linea del tempo: da una parte la retromania sonora, dall’altra l’avanguardia che scavalca la contemporaneità, ben prima che il termine crossover fosse di moda. Un’altra prova di maturità (dopo la crescita scandita da You Gotta Walk It Like You Talk It, Can’t Buy a Thrill, Countdown to Ecstasy) a tre anni di distanza dal successivo, assoluto, capolavoro (Aja, 1977). A differenza di altri storici dischi, Pretzel Logic non dovrà neppure attendere per essere considerato un classico. Album dell’anno 1974 per NME, sarà acclamato dal critico Robert Christgau come una regola aurea dell’armonia vocale pop, «spogliato da istrionismo ed esibizionismo tecnico, sincero, quasi modesto».

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    Waterloo
    ABBA

    Marzo 1974



    Per quanto riguarda Waterloo, invece, il tempo è stato proverbialmente galantuomo, restituendo legittimità storica e artistica a quello che per la quasi totalità di critica e pubblico è l’anello debole della discografia degli ABBA. Simbolo della tribolata ricezione dell’opera è la stessa title track, nominata da un recente sondaggio della BBC miglior canzone di sempre dell’Eurovision Song Contest. Nell’edizione del 1974, stravinta dal complesso scandinavo, i giurati inglesi non le avevano dato neppure un voto.

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    Apostrophe (’)
    Frank Zappa

    Marzo 1974



    Una notte Frank sogna di essere un giovane eschimese di nome Nanook, che tornando verso il suo igloo si imbatte in un cacciatore di pellicce intento ad aggredire una foca. Allora Nanook cosa fa? Prende una manciata di neve ingiallita dal piscio degli husky e con questa acceca il cacciatore. È l’incipit del disco, aperto appunto da Don’t Eat the Yellow Snow, prima hit da classifica per Zappa, e Nanook Rubs It. E il successo commerciale, finalmente, arride a un intero album del genio di Baltimora, presenza obbligata per ogni retrospettiva discografica dagli anni ’70 in avanti.

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    Second Helping
    Lynyrd Skynyrd

    Aprile 1974



    Per motivare l’inclusione in questa lista basterebbe ricordare che è l’album aperto da Sweet Home Alabama. Una canzone, un giro di accordi, un riff. Sembrano essere con noi dalla notte dei tempi, e invece era solo cinquant’anni fa… Più prosaicamente, è il disco che segna l’ingresso in formazione di Ed King, autore del suddetto riff; ed è soprattutto l’album che, forse più di ogni altro, fa di questo 1974 l’anno d’oro del Southern rock.

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    I Want to See the Bright Lights Tonight
    Richard and Linda Thompson

    Aprile 1974



    Si diceva, poc’anzi, di album e band dominate da coppie di autori e performer. Questo disco, la coppia, la celebra in senso musicale e sentimentale. Linda era già comparsa in studio per Henry the Human Fly, esordio solista dell’ex Fairport Convention. Ma qui guadagna il proscenio assieme a Richard, con ruolo assolutamente paritario. Come per Blackmore, ma con toni diversi, siamo di nuovo lungo il confine tra popular music e cantata rinascimentale, lungo la stessa linea del tempo. Ma poi, c’è davvero bisogno di scegliere una direzione?

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    Kimono my House
    Sparks

    Maggio 1974



    A Frank Zappa, soprattutto quello pre Apostrophe, si lega quest’altro classico troppo spesso dimenticato. Zappiano è il caustico pot-pourri di vaudeville, opera pop e cabaret il quale, nelle mani dei fratelli Mael, sfocia in un teatro Kabuki dell’assurdo che è il loro più alto esito discografico. Ron si occupa della scrittura, Russell nei momenti migliori giunge a incarnare la quintessenza del glam (come in Equator, brano in cui la sua vocalità lo pone al confine tra uomo e donna). I Queen di A Night at the Opera — uscirà l’anno seguente — non saranno immuni dalla loro influenza.

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    Too Much Too Soon
    New York Dolls

    Maggio 1974



    Una carriera drammaticamente breve e fuggevole, quella dei New York Dolls. Che al secondo album in due anni sono a un passo dal capolinea. Too Much Too Soon, è proprio il caso di dirlo. La band ha già dovuto lasciarsi alle spalle la morte per overdose del batterista Billy Murcia, e il suo leader Johnny Thunders — John Anthony Genzale, originario della provincia di Avellino — sta per indirizzarsi verso la stessa china. Non prima però di aver lasciato in testamento un disco che, come il primo – e a dispetto di una produzione maggiormente levigata – è un’ulteriore semina per il punk a venire.

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    Diamond Dogs
    David Bowie

    Maggio 1974



    Chissà se George Orwell avrebbe previsto che, dieci anni prima del 1984, una rockstar si sarebbe ispirata a quel libro per un concept album. Peccato che di lungimiranza i suoi eredi ne dimostrino ben poca, opponendosi categoricamente all’idea iniziale di David Bowie. Il quale ripiega su un soggetto a dir poco distopico, ambientato in una rovinosa città immaginaria, Hunger City, dove langue una società in avanzato stato di decomposizione. A tenerla in scacco sono i Diamond Dogs, ibridi uomo-cane guidati da Halloween Jack, ennesima incarnazione terrena dell’ex Ziggy Stardust. Una storia che, sostenuta da un rock tagliente e riff oriented, è a modo suo un’ulteriore allegoria della società del 1974.

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    On the Beach
    Neil Young

    Luglio 1974



    Allegorica è anche la spiaggia solitaria di Neil Young dove è sepolta una Cadillac, simbolo del sogno americano à la Happy Days la cui morte è annunciata dal Watergate in prima pagina sul giornale. In pratica, il riassunto del 1974 così come lo abbiamo tratteggiato nell’introduzione. Ma la desolazione cantata da Neil è tanto collettiva quanto individuale, e il suo personalissimo crocevia lo trova smarrito in una disillusione post Woodstock così acre da fargli prendere le parti di Charles Manson. Quanto meno nella finzione musicale di Revolution Blues, episodio di un album che anche grazie agli ospiti d’eccezione spicca tra i vertici assoluti della sua produzione.

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